Recensione: Echoes Of Battle
Negli ultimi anni sono stati molti i gruppi che, ispirati dai Summoning, hanno intrapreso la strada del black metal più atmosferico ed epico. Poche però sono le band che sono state in grado di effettuare un discorso personale, o che quantomeno si staccasse dagli stilemi tipici dei maestri austriaci. Fra queste, sicuramente spiccano gli americani Caladan Brood autori, nel 2013, del pregevole “Echoes of Battle”, concept ispirato dal capolavoro fantasy di Steven Erikson intitolato “The Malazan Book of the Fallen”. Il nome stesso del gruppo prende spunto da questa magnifica saga fantasy, arrivata in America al decimo volume.
La band offre, nelle sei tracce del lavoro, varietà e ricercatezza, alternando mid-tempo a parti più incalzanti, il tutto senza mai abbandonare il proprio marchio di fabbrica, ovvero una malinconia epica ed emotiva, resa alla perfezione in ogni passaggio.
Addentriamoci quindi fra gli immensi spazi del continente di Genebackis, e prepariamoci a marciare verso Darujhistan, magica città illuminata da persistenti fiamme azzurre.
“City Of Azure Fire” rappresenta insieme opener e perfetto biglietto da visita: atmosfere soffuse e decadenti si alternano a taglienti scream e magniloquenti cori, calandoci immediatamente nel mood generale dell’album e dandoci l’impressione di camminare fra le vie illuminate di azzurro di Darujhistan, ovvero una delle principali Città Libere del continente di Genebackis. La title-track prosegue perfettamente il discorso dell’opener, pestando però un po’ di più sull’acceleratore, creando pregevoli scambi fra la struttura chitarristica e le parti sinfoniche (altro trademark dei Caladan Brood). Sembra davvero di marciare verso la battaglia fianco a fianco con i “Wolves of Winter”.
Uno dei pezzi più riusciti è sicuramente il successivo “Wild Autumn Wind”: nei quasi 14 minuti della canzone, drammaticità e pathos si prendono la scena, immergendoci completamente nell’impero di Malazan. Il passaggio delle ere, lo scorrere inesorabile del tempo, l’inevitabile caduta di ogni impero, sono tutti concetti magnificamente espressi nell’arco del pezzo, ascoltare per credere! L’assolo di chitarra poi, che si integra alla perfezione nell’atmosfera di “Wild Autumn Wind”, è probabilmente il più riuscito dell’album intero.
“To Walk the Ashes of Dead Empires” prosegue sulla falsariga del pezzo precedente, risultando anch’esso perfettamente bilanciato negli elementi tipici dei Nostri. Da notare come, avvicinandoci alla parte conclusiva dell’album, il massiccio minutaggio di ogni canzone non porti quasi mai a fasi di stanca.
“A Voice Born of Stone and Dust” è probabilmente il pezzo più pesante dell’album, ed è quello più focalizzato su ritmiche veloci e aggressività. Arriviamo quindi, quasi senza accorgercene, alla chiusura dell’album, ovvero “Book of the Fallen”, con ogni probabilità il vero highlight di “Echoes of Battle”. Tutti gli elementi tipici del gruppo americano qui si sommano alla perfezione, in un crescendo quasi rossiniano. Fra cambi di tempo, cori anthemici, momenti più intimi e soffusi ed una chiusura da brividi, la marcia dei soldati di Malazan giunge al termine.
Aggiungiamo che, se riuscirete a procurarvi l’edizione in vinile, la troverete arricchita da (e come potrebbe essere altrimenti) “Marching Homewards” e “The Passing of the Grey Company” dei Summoning.
Fa specie pensare che “Echoes of Battle” sia semplicemente il debutto del duo di Salt Lake City: i Caladan Brood sono difatti riusciti, nel primo lavoro della loro carriera, non solo a ritagliarsi uno spazio ben preciso all’interno di un genere attualmente molto inflazionato come il black atmosferico di matrice più epica, ma hanno saputo renderlo appetibile anche al di fuori di questa nicchia. Presentano sì tutti i marchi di fabbrica tipici del black atmosferico di stampo epico, ma sono stati in grado di apportare varietà e freschezza in un genere troppo spesso ancorato alle solite strutture. Personalmente ritengo i Caladan Brood una delle poche risposte vere e qualitative ai lavori dei sempiterni Summoning, e il disco in questione, se il gruppo riuscirà a dare continuità alla propria attività, potrà veramente resistere alla prova più difficile, ovvero quella del tempo.
Da rimarcare inoltre come, nonostante l’album sia come già detto un concept, le canzoni sì si legano e si integrano completamente l’una con l’altra, ma brillano assolutamente di luce propria, sia a livello musicale che lirico: il testo assolutamente meraviglioso di “Wild Autumn Wind” è la prova tangibile di quanto detto. Non vi resta pertanto che recuperare questa piccola perla e, magari, se siete appassionati di fantasy (e se siete arrivati sin qui con la lettura qualcosa mi suggerisce di sì) procuratevi la saga di Malazan: sicuramente non ne resterete delusi.
Far beyond moon and sun
Long is the path to the end
Azure flames light the way.