Recensione: Echoes of Decimation
Gli Origin sono ritornati prepotentemente sulla bocca di tutti gli
appassionati attraverso il recente exploit degli
Unmerciful, nuova realtà brutal che, come risaputo, vede la
partecipazione dei due chitarristi Jeremy Turner, Clinton Appelhanz
e del tentacolare batterista James King. Se Turner aveva
abbandonato gli Origin dopo
Informis
Infinitas Inhumanitas (e seguire temporaneamente i Cannibal Corpse),
gli ultimi due hanno proseguito di qualche anno la loro permanenza contribuendo
alla realizzazione del terzo lavoro della band, Echoes of Decimation.
Le caratteristiche degli Origin rimangono fortunatamente inalterate
anche in questo album, riuscendo a estremizzare ulteriormente i contenuti del
precedente lavoro. Una freddezza d’esecuzione e di suoni ancor più esasperata,
un approccio ancora più cibernetico dei brani, e una tecnica ancora più
disumana, fanno capolino in un disco tanto violento e frenetico da risultare
ostico non solo all’ascolto ma anche a una semplice descrizione dei contenuti
senza cadere nella pura banalità. Brani che non concedono alcun respiro, volti
unicamente a frullare il maggior numero di riff nella maniera più precisa,
veloce e brutale possibile, senza trascurare neppure un secondo della propria
musica, incredibilmente studiata e matematicamente distribuita in tutti i suoi
ventisette minuti scarsi.
A fronte di una durata così esigua ci troviamo un album estremamente
compresso, che offre all’ascoltatore una sensazione di annichilente smarrimento
nel chiedersi se siano davvero concepibili i frenetici sweep picking e le
incredibili variazioni chitarristiche della coppia Paul Ryan/Clinton
Appelhanz, o i patterns mostruosi di James King; quello che a caldo
potrebbe sembrare una “semplice” esibizione tecnica, diventa a mente fredda la
prova superba di come si possano comprimere in modo così serrato così tante
soluzioni compositive. Echoes of Decimation infatti è la naturale
evoluzione di Informis Infinitas Inhumanitas, riprendendone gli schemi,
ma stemperandoli in modo più organico, riuscendo a controllare la brutalità
pazzesca di quest’ultimo disco, e far emergere nei limiti del possibile un
songwriting più centrato sulla stesura dei brani. Può far sorridere parlare di
queste cose affrontando gli Origin, ma sarebbe un errore di presunzione
non andare a scoprire le ottime costruzioni che i nostri hanno creato per poi
sezionarle e conferirle il tipico trademark della band del Kansas. Canzoni come
Reciprocal, The Burner, Staring From The Abyss, Echoes
Of Decimation sono sprazzi di classe e capacità più unici che rari, un
felicissimo e contraddittorio connubio di follia e razionalità, dove anche nei
pochi secondi in cui gli Origin procedono secondo una linea retta, la
sensazione che stia per accadere l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo, come
in Endless Cure, in Amoeba e in Debased Humanity.
Un album interamente sparato alla velocità della luce, a cui si fa davvero
fatica a portare qualche critica. Certo, Echoes of Decimation ha
in sè tutti i difetti congeniti del genere che i detrattori sicuramente
chiameranno in causa, ma per chi è in grado di apprezzare la chirurgica ferocia
degli Origin, questo è uno di quei dischi da ascoltare, studiare, e
tramandare nel tempo, aspettando con ansia la nuova mazzata inflitta dai nostri.
L’estremizzazione fatta musica.
Stefano Risso
Tracklist: