Recensione: Echoes of Dismemberment
Esattamente come in un film. Partendo dalla copertina, in puro stile cinematografico.
Gli statunitensi Scorched intendono così dar vita al loro debut-album, intitolato “Echoes of Dismemberment”, richiamando tutti i dettami classici dell’horror.
Cominciando dall’agghiacciante intro ‘To the Chamber’ che, avendo perfettamente azzeccato il mood che permea le storie di torture, scuoiamenti, sbudellamenti e smembramenti, lascia presagire che il platter sarà totalmente… splatter. L’incipit di ‘Torture Prolonged’, che richiama terribilmente gli Slayer di ‘Raining Blood’, è, difatti, già di per se stesso un tormento. Che apre le carni per il successivo affondo del death metal violento e brutale del combo del Delaware.
Death metal senza particolari spunti di originalità, giacché esso si appella al sound delle prime band che hanno saltato dal thrash al death stesso. Eseguito, però, con rara ferocia, con bestiale intensità, con cattiveria musicale pura. Difficile trovare gente così sul pezzo, in giro. Certamente gli inserti ambient (‘Flesh Awaits’, ‘Vile Lingering Stench’) fanno il loro dovere, nel dar luogo a un’atmosfera malsana, malata, morbosa. Ma è proprio lo stile dei Nostri, a essere così. Così rabbioso, così intenso, così vero. Un sound che nasce da dentro, da quel conglomerato molecolare che è il corpo umano. Muscoli, nervi, fegato, cistifellea, cervello. Tutto, concorre a rendere “Echoes of Dismemberment” un lavoro clamorosamente riuscito nella sua intrinseca semplicità strutturale. Poiché, chiaro, di technical death metal non si tratta.
Tuttavia, gli Scorched riescono nel loro intento con precisione chirurgica, scovando i più reconditi fantasmi che albergano nella mente umana. Quali, entità? Gli ectoplasmi che accompagnano silenziosamente e irresistibilmente lo spirito vitale degli uomini verso il sadismo. Sadismo. Parte nebulosa, primordiale, oscura, addirittura storica (lapidazioni, leoni, torture cinesi/medievali, impalamenti, pire, ghigliottina, etc.) che vive, viva, nell’animo dei tutti, nessuno escluso. Efferato elemento distintivo dell’homo sapiens dagli animali, eventualmente crudeli solo per necessità di sopravvivenza.
Ebbene, tutto ciò che è stato appena descritto a parole, Matt Kapa – una specie di tuono soffuso, la sua voce – e i suoi compagni riescono a trasfonderlo in musica con talento naturale. Adoperando la parte più grezza del death metal. Questi, a volte quasi inintelligibile e caotico, nei momenti in cui ribolle il sangue e sale l’adrenalina, e cioè durante i confusi blast-beats (‘Scorched’) o i primitivi quattro quarti che a volte sembrano messi lì apposta per sezionare cadaveri o, peggio, non-cadaveri (‘Autopsy Incomplete’).
Insomma, nella loro evidente preparazione di base e nulla più – più che sufficiente, nondimeno, a garantire la professionalità necessaria per incidere un disco degno di esser chiamato tale – , gli Scorched mostrano con immediatezza d’intenti che è l’inventività, in primis, a rendere un full-length, se non memorabile, da ricordare a lungo.
E, così, è.
Daniele D’Adamo