Recensione: Echoes of Shadhavar
Nuovo album per gli spagnoli Oopart: ‘Echoes of Shadhavar’ è il suo titolo, disponile dal 2 dicembre 2022.
Segue ‘Metal Alloy’, roccioso full-length di debutto del 2020, che mostrava principalmente la vena sanguigna ed istintiva del combo attraverso un Heavy/Thrash dai tratti primordiali e incandescenti … un tirar dritto e picchiar duro senza starci troppo a pensare, con dentro parecchia energia esplosiva.
Il tempo passa e gli Oopart “crescono”: ‘Echoes of Shadhavar’ mantiene le basi e la grinta del precedente lavoro sviluppando, però, nuovi ed inconsueti dinamismi.
La band cerca un po’ di sperimentazione per intensificare la propria carica emotiva, introducendo, qua e là, elementi di completamento non convenzionali per il genere, quali la ritmica arcaica e frenetica delle congas afro-cubane o del tamburello (a cura del Maestro Nan Mercader, accreditato come quinto elemento della band), oppure utilizzando delle taglienti melodie dal sapore mediorientale per creare un’atmosfera esotica ma, al contempo, bollente e fosca.
Il risultato è intrigante: c’e tanta rabbia dentro ‘Echoes of Shadhavar’, incanalata in dieci pezzi coinvolgenti e dirompenti, che prendono come spunto importanti opere letterarie per parlare di temi sociali e religiosi.
Ad esempio, gli Oopart entrano nel mondo oscuro evocando lo scrittore del Necronomicon in ‘The Abdul Alhazred Club Band’ (per coloro che hanno vissuto su Marte, libro e personaggio creati dalla mente di H.P. Lovecraft – forse …), ma anche nell’imponente palazzo di Alfajería di Saragozza, dove una lacrima ha le stesse vibrazioni del suono di una malinconica chitarra classica (‘A Sigh in the Alfajería Palace’).
Il tiro è alto già da subito, con l’intro predominato dalle percussioni e dai canti tribali, ma diventa spietato con la prima traccia ‘A Farewell to the Colonel’, potente ed implacabile e poi con il Thrash spasmodico di ‘Trasmutation’ e della già citata ‘The Abdul Alhazred Club Band’, che è anche un singolo con video.
Infonde un pò di calma ‘A Sigh in the Alfajería Palace’, dove gli Oopart ci ricordano che sono spagnoli, terra dove chitarre e spade hanno pari tradizione.
Ma è l’unica tranquilla: poi l’album riparte implacabile, come uno schiacciasassi.
Bello l’accoppiamento della chitarra acustica con l’elettrica in ‘When Empires Die’, che dà vita ad un suono suggestivo ed, al contempo, inquietante e c’è anche da citare ‘Pillars of Creation’, un lunghissimo pezzo strumentale (quasi dieci minuti) dalle tante sfumature, un po’ ostico ai primi ascolti ma poi trascinante.
In definitiva, gli Oopart con ‘Echoes of Shadhavar’ spaccano, come si dice oggi.
Tra il primo ed il secondo album il passo in avanti è parecchio lungo.
Si apprezza, soprattutto, la voglia di dire un qualcosa in più e di voler manifestare una propria identità, prendendosi anche qualche rischio.
Le influenze ci sono sempre, anche marcate: ad esempio vengono fuori i Metallica e, soprattutto durante le parti orientaleggianti, gli Iron Maiden, ma ci sono anche tanta personalità ed evoluzione, e quei pochi spigoli presenti in ‘Metal Alloy’ sono stati belli che smussati (ad esempio la voce è nettamente migliorata).
E poi, alla fine, le canzoni sono tutte belle e si ascoltano volentieri.
Non c’è altro da dire: bravi Oopart, speriamo di vedervi presto in Italia.