Recensione: Eclipsing The Dawn

Di Giorgio Vicentini - 3 Luglio 2004 - 0:00
Eclipsing The Dawn
Band: Cephalectomy
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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70

Dopo numerosi ascolti di “Eclipsing the Dawn”, una delle poche certezze che ho maturato è quella che i Cephalectomy sono un combo di “sbandati” che ha sfornato un disco tra i più complessi e schizoidi, incisivi e rabbiosi che io abbia mai sentito; un lavoro sicuramente affascinante per molti aspetti, trascinante per altri, ma che non mi convince ancora del tutto.

La seconda sicurezza è che non siamo di fronte a degli sbarbatelli dal punto di vista musicale e ciò si evince dal fatto che i canadesi sono al loro quarto disco, cosa che mi ha totalmente sorpreso visto che ignoravo la loro esistenza, dimostrandomi ancora una volta quanta buona merce ci sia sul mercato e quanto sia difficile da scovare. Dovendo inquadrarli in una corrente dal nome comune si potrebbe parlare di brutal grind, anche se per loro è stato spesso usato il termine specifico “Mystigrind” per via delle tematiche “Mistico/Lovecraftiane” trattate nei testi. Parlo di liriche ma lo faccio affidandomi alle loro note biografiche ed ai testi pubblicati dato che, è talmente alto il tasso di schizofrenia in questo disco, da richiedere delle vocals altrettanto alienate, folli ed incomprensibili anche per i più esperti conoscitori dell’inglese: un concentrato di strilli, screams black, gorgoglii gutturali e quant’altro, costantemente alternati tra loro. Le perplessità a cui accennavo derivano dalle caratteristiche peculiari del disco, esasperato in tutti i suoi punti salienti, forse troppo in certi casi; un disco nel quale quasi tutto è fuori dalla norma, in primis la tecnica abnorme dei membri del gruppo palesata dalla non-chalance con la quale si permettono di alternare ritmi irreali con tempi rallentati passando per breaks esaltanti (“Espousing the Lore of Ancient”), inframmezzati da assoli o parti acustiche che si spezzano d’un tratto per ricadere nella più insensata e becera violenza (“Of Grievance and Exhumation… the Fallen”). Ogni track è pregna di soluzioni ricercate, cervellotiche quasi al limite del soffocante, che non danno via di scampo: o si ascolta con attenzione con l’intenzione di assimilare, oppure è meglio passare ad altro perché perdere per un attimo la direttrice significa ascoltare il resto con la fastidiosa sensazione di aver tralasciato qualcosa di interessante o stimolante, con il rischio di cadere perfino nella noia completa per la difficoltà di riprendere il filo conduttore.

Un disco come questo non ammette distrazioni poiché sono bandite del tutto le partiture banali e canoniche, prediligendo la ricerca della perfetta fusione tra estrema brutalità e melodia, eclettismo e filo logico, condizioni soddisfatte in certi pezzi ma non del tutto in altri. Tale a tanta è l’abbondanza, che trovo superfluo citare un momento saliente piuttosto che un altro alla luce del fatto che ognuno degli otto capitolo racchiude un numero “n” di cambi di tempo; non si può dire davvero se ci siano pezzi deboli rispetto ad altri, perché dove potrebbe mancare il feeling o la razionalità, sopperisce l’incredibile e sbalorditiva padronanza degli strumenti che attira l’attenzione a lascia a bocca aperta, come nel caso del batterista: un anima in pena martoriata dal mastodontico e snervante lavoro al quale è sottoposto.

Sicuramente i Cephalectomy danno il meglio di loro stessi nei momenti meno caotici (espressione da prendere con le molle visto il soggetto in questione), dove il gusto per le melodie non viene soffocato dal loro essere involuti; quando prevale una goccia in più di raziocinio a discapito della ricercatezza che in alcuni casi mi è sembrata forzata. A mio avviso avrebbe giovato anche una razionalizzazione nell’uso delle molteplici voci, che in alcuni frangenti si sovrappongono in maniera quasi raffazzonata creando una fastidiosa sensazione di caos e di brutalità fine a se stessa. Qualcuno potrebbe chiedere un momento per rifiatare: bene c’è anche quello. Durante i quasi 38 minuti dell’album, infatti, non manca nemmeno un pezzo completamente acustico intitolato “The Squalid Eyes of Impending Treachery” che mi ha fatto tornare vagamente alla memoria i Death di “The Sound of Perseverance” e che traghetta fino all’inizio orchestrale di “The Ghosts of Reprisal and Strife”. “Eclipsing the Dawn” è un mastodontico esempio di complessità compositiva e fuga dalla banalità tagliato su misura per coloro che ricercano un lavoro impegnativo, strutturato, insano ed in certi momenti incontrollato; gli altri potrebbero avere qualche difficoltà a domare la bestia Cephalectomy.

Tracklist:

01. Of Grievance and Exhumation…(The Fallen)
02. Espousing the Lore of Ancient Mythos
03. Discerning thee Apocryphal Divinity
04. Invocate the Tempests to Castigation
05. The Squalid Eyes of Impending Treachery
06. The Ghosts of Reprisal and Strife
07. Dragons upon the Mountains of Mashu
08. The Sundering of Eternal Sentience

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