Recensione: Edari
Nell’ annunciato il loro debut album Edari gli Område non hanno certo peccato di autocritica.
La cinematografia degli ULVER, l’oscurità dei MANES, l’ecletismo dei Dødheimsgard, le ambientazioni dei GOD IS AN ASTRONAUT sono la chiave di “Edari”, debut album degli OMRÅDE, che traccia un nuovo confine alle parole “visione” ed “estremismo”
Il problema è che questo duo francese ha ben donde di andar fiero della sua creazione. Sarà dunque bene andare con ordine.
Ho detto francese? Anche se la tracklist lascia intuire una provenienza scandinava, piena com’è di ö ø å eccetera? Sì, questo duo, supportato da una miriade di guest, è di “semplice“ matrice transalpina. E in in effetti, a ben guardare, c’è un’affinità elettiva che li accosta ai loro connazionali Daft Punk. Non si mostrano in viso, non rivelano i nomi, non rivelano la nazione d’origine. Sicché noi, per contribuire all’aurea di mistero, non li riveleremo – basta una ricerca internet di media difficoltà per scoprire tutte le carte, ad ogni modo.
S’era parlato di Ulver e Manes e Dødheimsgard, e bisogna dire che, a tutti gli effetti, almeno i primi due nomi son nient’affatto campati in aria, il terzo effettivamente in un paio di occasioni ci calza alla perfezione (per quanto riguarda i God is an Astronaut siamo relativamente ignoranti e sebbene qualcosa in comune ci sia, preferiamonon tracciare paralleli). Perché ciò che sta alla base di questo Mótsögn è un incredibile base elettronica, che mischia un po’ le batterie e le tastiere di Perdition City ai Manes più tardi e industriali. Ne viene fuori una curiosa mistura di elettronica e trip-rock, e la dicitura di un genere così specifico non è casuale, poiché la la guest vocalist femminile su Satellite and Narrow vi farà vagamente ripensare all’Anneke e ai Gathering di Souvenires, in chiave vagamente remixata.
Basta questo? In realtà no. Svettano qua e la sassofoni languidi e solefaldosi (se ci concentriamo soprattutto sull’intramontata Eukalyptustreet) disegnano paesaggi urbani languidi, fumosi, oscuri – ad esempio nella opener.
Musica elitista e per pochi? In realtà no, se escludiamo Åben Dør, unica traccia effettivamente Dødheimsgardiana per approccio. Gli Område in efetti recuperano certa tradizione prog, non solo quella dell’andare avanti, ma soprattutto quella di far apparire facile il difficile. E non bastasse ciò, i nostri sono bravi a costruire raffinate melodie in costante divenire – niente ritornello fighetto per intenderci, piuttosto un clean struggente che riporta alla memoria certo djent (i Periphery più malinconici sono dietro l’angolo). Lo si capisce, oltre che nella già citata Satellite and Narrow, in Skam Parfyme e nell’ottima Mann Forelder, autentico gioiello costruito sul contrasto di una prima parte lenta e contratta che, come nulla fosse, si fa rapida e delicata.
C’è dell’altro? Probabilmente sì, solo che negli ultimi cinquanta ascolti non abbiamo fatto a tempo a scoprirlo. Vero è che in questo disco non c’è un solo pezzo che non sia degno d’attenzione. Vi sonoalcune cose da limare, forse, ma non è il caso di parlarne.
Troppo spesso, negli ultimi anni la parola Avantgarde è stata usata ed abusata a sproposito da gruppi anonimi che mettevano due clean su una base di black novantiano, da band che in realtà coverizzavano i peggiori Arcturus senza rendersene neppur conto. Signori, QUESTO è vero Avantgarde! Qualcosa che parte da solide basi e si traduce in qualcosa di nuovo. L’unica cosa, a questo punto, è sperare che i Omrade si faccian sentire presto con unnuovo disco.