Recensione: Eden in reverse
Se puoi convincere un Lars Nedland a cantare su un tuo album, puoi fare tutto. Questa la mia reazione quando i greci Hail spirit noir hanno lanciato “Crossroads”, secondo singolo che annunciava l’arrivo del loro nuovo album “Eden in reverse”, in cui appunto si fregiavano di una comparsata della clean voice dei Sloefald.
Diciamocelo però, se c’era una band a cui avrei augurato di collaborare con Nedland, questi erano proprio gli ellenici. Non so bene perché. Sarà che la timbrica del norvegese si mischia bene a quella di Theoharis (ma ci sono delle novità di cui parleremo in seguito). Sarà la componente prog elitistica che permea la musica degli HSN. Resta il fatto che “Crossroads” è un pezzone e che il Lars ci casca davvero bene. E “Crossroads” è un brano che presenta abbastanza bene tutto “Eden in reverse”: il quarto album dei greci riprende molto delle sconvolgenti novità che avevamo apprezzato con il folle “Mayhem in Blue”, ma è anche vero che ne tronca di netto altre più legate alle origini della band.
Una su tutte?
Via il growl!
E già questo dovrebbe bastare a farvi capire in che universo (è proprio il caso di dirlo) ci stiamo andando ad immergere. Via libera al progressive anni ’70, molto meno spazio al black, che permane nelle atmosfere sinistre e in alcune accelerazioni di chitarra. Viene dunque un po’ meno anche la componente avantgarde, eppure, nel suo essere brutalmente settantiano, “Eden in Reverse” è un disco bislacco (come “Mayhem in blue“) ed originalissimo. Il merito è per la maggior parte delle tastiere, che creano atmosfere ora inquietanti e ora tenebrosamente sognanti, da viaggio cosmico. E non è un caso che siano le tastiere a farla da padrone, perché i tastieristi sono ben due!
Eh già, gli Hail Spirit Noir hanno allargato la formazione o, meglio, l’hanno raddoppiata. Da tre che erano sono passati a sei. Oltre alle tastiere troviamo un nuovo vocalist – un tal Contro Marg comunque molto simile per timbrica a Theorasis – e, non ultimo, un batterista in carne ed ossa a sostituire la drum machine.
Il risultato è qualcosa che potremmo definire come un “Mayhem in blue” (stavolta la canzone, non l’album) elevato all’ennesima potenza nei suoi elementi più psychedelici: kraut rock, space rock, Pink Floyd del periodo barrettiano e Tangerine Dream del periodo elettronico la fanno da padrone lungo tutti i 42 minuti di “Eden in Riverse”. A tutto questo si assommano alcune spruzzate di rimasugli di black metal e alcuni riff un po’ più rocciosi, che abbiamo sentito bene nella geniale “The first Ape on new Earth”, primo singolo e forse il pezzo più visionario e metalleggiante dell’opera.
Tra gli altri brani (sette in tutto), si segnala la mega cavalcata in-space costituita da opener, “Incense Swirls” e “Alien Lip Reading”, che costituiscono quasi un omaggio a Sid Barret, sia per le linee vocali che per le atmosfere stile “The Piper at the Gates of Dawn”.
Al netto dei fatti, potrebbe sembrare che la perdita della componente black possa aver causato un arretramento nella proposta degli ellenici o comunque una perdita della loro lucida follia. Questo in parte è vero, ma c’è anche da dire che “Eden in Reverse” non presenta momenti morti o troppo complessi da digerire (salvo forse il lungo intro della conclusiva “Automata 1980”), aspetto questo che forse era un limite delle precedenti uscite. Oltre a ciò il songwriting rimane a livelli molto alti lungo tutto il corso del disco, anche questa una cosa su cui gli HSN in passato steccavano a volte.
Per il resto rimane, misto al senso di elitismo, anche quello di casereccio tipico delle uscite targate Hail Spirit Noir e questo, in un mondo di dischi iperprodotti ed iperpompati, non può che far piacere, anche solo perché in questo modo il recupero dei 70’s è ancora più riuscito. E dunque, se anche “Eden in Reverse” magari non dovesse risultare il migliore dei prodotti del gruppo, costituisce comunque un ulteriore fase di maturazione.