Recensione: El Camino del Fuego
Gli argentini Rata Blanca costituiscono un autentico pilastro per l’intero movimento hard rock e heavy metal sudamericano. Nella loro lunga storia hanno venduto milioni di copie e sono amatissimi nei paesi dall’idioma spagnolo. Fuori dai loro confini, non solamente geografici ma anche culturali e linguistici, però, il grande successo non è mai arrivato.
Il loro mastermind è Walter Giardino, chitarrista e fondatore, che nel 1985 ha dato vita al gruppo in quel di Buenos Aires. Il loro debutto omonimo è targato 1988, poi sono seguiti anni tribolati segnati da defezioni varie e uno stop temporaneo intorno al 1998. Due anni dopo avviene la ricostituzione che porta il gruppo ad un’attività continuativa che dura sino a oggi, costellata da ben nove uscite ufficiali a partire dal 2000.
L’oggetto della recensione è la loro sesta fatica, El Camino del Fuego, che ha visto la luce nel 2002 sotto l’egida della nostrana Underground Symphony nella sua versione digipak che si sviluppa in un cartonato a tre ante con numerose foto della band sia in veste live che in posa. Abbinato vi è un booklet di otto pagine con tutti i testi e le note tecniche di rito.
Chicca dell’edizione italiana dell’album, la presenza a mo’ di bonus track di un antico cavallo di battaglia del Topo Bianco argentino: “Majer Amante“, in acustico,
Nel 2002 Rata Blanca schierava, oltre a Giardino, Adrián Barilari alla voce, unico membro di allora tuttora presente nella line-up insieme con il chitarrista, ovviamente, poi Hugo Bistolfi alle tastiere, Guillermo Sánchez al basso e Fernando Scarcella alla batteria.
Impressionante la somiglianza di Adrián Barilari nei confronti di Andrea “Ranfa” Ranfagni dei Vanexa nell’interpretazione della purpleiana “El Amo del Camino” posta in apertura. Il Profondo Porpora infatti costituisce pressoché una costante, infatti, nelle trame di El Camino del Fuego così come le influenze Rainbow sgorgano copiose fra le trame degli argentini.
Qualche nome?
“Abeja Reina“, “Lluvia Púrpura“, “Caballo Salvaje” e “Sinfonía Fantástica“. Tutti pezzi fortemente debitori della coppia di colossi sopra menzionata e che quindi fanno di El Camino del Fuego un disco dalla tinte prevalentemente hard rock.
Uniche eccezioni, al di là delle ballate, citate a fine recensione, le due seguenti: sublime l’ignoranza metallica sprigionata lungo “La Canción Del Guerrero” risalente ai primi anni del complesso e che trova spazio, incredibilmente, solo in questo disco del 2002 e va a segnare anche il solo sussulto veramente HM dell’intero lavoro. L’altra tracimazione, questa volta nel power, è incarnata da “En Nombre de Dios?”, una canzone normalissima, priva di impennate di sorta, semplice e semplicistica, in doppia cassa, piacevole e nulla più.
Al capitolo melodia applicata alle sette note si trovano le consistenti “Cuando la Luz Oscurece”, lento vecchia maniera, nel solco di quando ancora non serviva strafare ed enfatizzare per forza i suoni, un brano di vera classe senza se e senza ma e la struggente bonus track, “Majer Amante“, autentica ciliegina sulla torta del sesto capitolo Rata Blanca della storia.
Stefano “Steven Rich” Ricetti