Recensione: Electric Castle Live And Other Tales

Di Roberto Gelmi - 24 Marzo 2020 - 11:00
Electric Castle Live And Other Tales
Band: Ayreon
Etichetta: Mascot
Genere: Progressive 
Anno: 2020
Nazione:
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88

Into The Electric Castle (ITEC di qui in poi) è il primo doppio album degli Ayreon, pubblicato nell’agosto del 1998 per Transmission Records e poi ristampato da InsideOut Music. Stiamo parlando di uno dei concept più ambiziosi di Arjen Lucassen, quello di maggior successo di vendite, nato come rilancio creativo dopo lo spettacolare debutto a nome The Final Experiment e il passo falso Actual Fantasy. All’epoca gli Ayreon erano altresì un progetto ancora in fieri, siamo infatti prima dei due capitoli The Universal Migrator e del capolavoro The Human Equation.

Di ITEC a distanza di vent’anni rimane un ricordo affascinante, però va detto che le due ore che compongono il concept non sono delle più accessibili, complici lunghi intro recitati e parti vocali virtuosistiche che incarnano la definizione più barocca di metal/space opera. Tanta carne al fuoco, insomma, per un platter che ha saputo mettere in musica la mente visionaria di Lucassen grazie a un cast di voci oggi non tutte ugualmente famose (se non nei Paesi Bassi).

Nel 2020, dopo il successo clamoroso dei live show confluiti nel dvd Ayreon Universe – The Best of Ayreon Live, al mastermind fiammingo è parsa cosa buona e giusta celebrare il full-length che ha dato il nome al suo studio di registrazione, il “castello elettrico”, teatro di una storia ai limiti della follia che vede un alieno “giocare” con i sentimenti di una varia umanità (nel cast troviamo un antico romano, un barbaro, un cavaliere medievale, un’egizia, un hippy…).

ITEC è stato dunque proposto in sede live in 4 show esclusivi tenuti nel settembre del 2019 nei Paesi Bassi; Arjen, appoggiato dal tastierista Joost van den Broek (già coproduttore degli show del 2017) si è avvalso di alcuni musicisti  noti ai fan e altri di caratura altrettanto notevole, quasi tutti suoi connazionali. Troviamo così confermati Ferry Duijsens (VUUR) alla chitarra ritmica, Johan van Stratum (VUUR) al basso, Ed Warby alle pelli, Marcela Bovio e Anneke Van Giesbergen alle voci (grande assente Sharon Den Adel, al suo posto comunque c’è Simone Simons), Damian Wilson (nei panni del crociato), Edward Reekers (il futureman del concept) e J. J. Cuijpers (Praying Mantis) nelle vesti del barbaro. Non mancano nemmeno, infine, alcuni numi tutelari già presenti nel disco originale come Thijs van Leer (Focus) al flauto e Fish nella parte dell’highlander che fu sua nel 1998.

Guardando il Behind the scene (contenuto nel bonus dvd della limited edition) è impressionante notare anzitutto come è stata realizzata la sapiente scenografia, che prevede un palco decisamente affollato: il castello campeggia con due torri, al centro compare una specie di portale alla Stargate e non manca un video wall scorrevole. Non era semplice architettare una cornice così pirotecnica ma l’effetto complessivo è più che appagante.

 

 

Venendo alla musica, tutto funziona a meraviglia, inclusa la voce recitante e la risposta di un pubblico sempre cosmopolita. La musica degli Ayreon chiama a raccolta artisti di varie nazionalità, allo stesso modo i suoi live radunano folle da ogni parte del globo (poco importa se su Spotify la band superi di poco le 100000 visualizzazioni mensili).

Già dai primi minuti si ha l’impressione che il live rende meglio la natura del concept rispetto al disco in studio. Tutto guadagna in facilità di comprensione, ogni voce è chiaramente riconoscibile, gli assoli ben eseguiti (Marcel Singor dei Kayak non fa rimpiangere Marcel Coenen) e ogni brano è una gioia per le orecchie.

Tra i momenti migliori citiamo la parte strumentale di “Amazing flight”, i grunter con tanto di face paint in “The castle hall” e “Cosmic Fusion”, la nuova riproposizione di “Valley of the queens” (bella come quella del 2017), ma anche l’assolo di pianoforte di Robby Valentine (musicista olandese leader dei Valentine) all’avvio di “The mirror maze” (una chicca a sorpresa). Ottima la jam in “Tower of hope” con chitarra, flauto e violino a dialogare in modo sapientemente indiavolato e il finale “Another time another space” con un all-in del cast al gran completo, immagini di puro sollazzo.

Nel lungo encore c’è spazio per brani di altri progetti: si va dalla chicca targata Ambeon, a “Shores of India” (ma non era meglio prooprre “Heart of Amsterdam”?), “Out in the Real World” degli Stream Of Passion e “Pink Beatles in a Purple Zeppelin” del solo project di Lucassen. Inspiegabile, ma comunque godibile, anche “Kayleigh” con Fish a fare il mattatore.

Per quanto riguarda la scelta dei costumi di scena forse si poteva fare meglio, ma il rischio di cadere nel kitsch era dietro l’angolo, quindi accontentiamoci del legionario romano senza lorica, dello spadone di Damian Wilson e dell’hippy Arjen uscito direttamente dagli anni Sessanta. Unico rammarico la mise di Anneke, nel ruolo dell’ammaliante egizia si poteva pensare a un trucco più accentuato…

Electric Castle Live And Other Tales è un’altra perla nella videografia degli Ayreon, intrattenimento puro e prezioso in questi giorni di quarantena prolungata. Speriamo la saga non finisca qui, potrebbe essere la volta degli Universal Migrator negli anni a venire. Nel caso sappiamo già che, a meno di imprevisti, sarà l’ennesimo trionfo.

 

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