Recensione: Electrified
Dopo un discreto debutto edito nel 2022, i serbi The Big Deal presentano un nuovo capitolo discografico con caratteristiche non troppo dissimili dall’uscita precedente.
La formazione leggermente corretta (è uscito Alessandro Del Vecchio in qualità di bassista a favore di Nikola Mijic) non porta a sostanziali cambiamenti in una proposta che mantiene inalterati gli esiti complessivi.
Tradotto: se il gruppo balcanico era piaciuto almeno un po’ la prima volta, risulterà gradito anche con questo “Electrified”.
Diversamente, se la musica della band fondata da Srjdan Brankovic aveva lasciato per lo più indifferenti in occasione di “First Bite”, ben difficilmente otterrà consensi particolari con questa seconda uscita.
Elemento fondante ed inalterato, è il melodic rock che rappresenta la tessitura su cui vengono costruiti i brani. Da lì prendono strada canzoni con evidenti inflessioni di power melodico e limitate derive prog. Ma mai nulla di troppo complicato o difficile da ascoltare.
Molto potenziata risulta la produzione dei suoni, resa con buona enfasi e profondità. Tutto sommato ordinario e privo di grossi colpi di genio il songwriting.
I brani sono tutti per lo più facili ed immediati: non ci sono momenti davvero memorabili, a vantaggio di una routine tutto sommato piacevole, che però si mantiene lontana da vette di eccellenza davvero significative.
Nulla di appuntabile in senso stretto, I musicisti fanno tutti la propria parte egregiamente e le due cantanti, Nevena e Ana, hanno discreta vocalità e buonissima presenza scenica.
Il taglio specifico proprio della band tuttavia, non lascia spazio per eccessi di entusiasmo al riguardo dei risultati.
Pezzi come l’iniziale “Survivor” e “Burning Up” sono effettivamente gradevoli e possono rappresentare al meglio una band che non è di certo destinata a scrivere pagine di storia pur mantenendo un livello assolutamente dignitoso. Si rintracciano paragoni non troppo difficoltosi con le atmosfere care ad alcune delle realtà di rock decisamente “light” che popolano attualmente il catalogo Frontiers. Issa, Chez Kane e Cassidy Paris su tutte.
Qualche filler che si perde nell’anonimato – segnale evidente di un songwriting che necessiterebbe di qualche idea meno banale – mette in luce un disco che si riassume in una sentenza molto semplice e praticamente tombale per qualsiasi ambizione d’alta classifica.
Carino, ma assolutamente non fondamentale.