Recensione: Eleutheria
Musicalmente nati nel 2002, i canadesi Antiquus danno oggi seguito all’esordio datato 2005 rispolverando un sound che qualcuno poteva credere ormai sepolto dalla polvere degli anni. Heavy Metal di vecchia scuola, che si rifà da vicino ai maestri del power metal made in U.S. e dell’epic metal classico (Manilla Road su tutti), impreziosito da un approccio prog-oriented che può richiamare per certi versi alla mente i Fates Warning di fine anni ottanta: quelli di “No Exit” e, ancor più, quelli di “Awaken the Guardian”.
Piacevolmente anacronistico. Così in due parole si può sintetizzare lo spirito di “Eleutheria” – “libertà” per i greci antichi – album che senza la pretesa di offrire grandi novità saprà stuzzicare i palati di più d’un nostalgico. Impossibile infatti rimanere indifferenti di fronte a uno stile che con caparbia abnegazione rinnega ogni sorta di compromesso o modernismo sonoro: niente tastiere, niente filtri vocali et similia, niente ritornelli facili e cantabili; solo una pioggia incessante di riff possenti e massicci, quadrati e compatti come ultimamente solo l’underground sembra saper ancora regalare. Della medesima schiatta anche la produzione, ruvida al punto giusto, che contribuisce a rievocare l’atmosfera degli anni che furono. Un’attitudine che si riflette sulla stessa componente progressive, la quale più che nella sperimentazione sembra trovare la propria ragion sufficiente nell’apporto in termini varietà e dinamicità delle strutture. L’ottima padronanza degli strumenti esibita dai cinque ragazzi di Vancouver, forti di una buona intesa reciproca, tende tuttavia a spingere il sound verso un’involuzione a tratti esasperata. Capita così di perdere con una certa frequenza il filo del discorso nell’arco di brani cui probabilmente una maggiore linearità avrebbe potuto giovare, con l’inevitabile conseguenza di moltiplicare il numero di ascolti necessario alla piena assimilazione del disco. Un gran peccato, perché con un pizzico di malizia in più questo “Eleutheria” avrebbe potuto puntare decisamente più in alto.
Ciò non impedisce tuttavia alla band di colpire egualmente duro con massicci d’acciaio puro quali l’epica “Redmption”, accesa da un’intro squisitamente maideniana, come di scuola Maiden è la granitica suite “I Am Alive”, particolarmente ostica da digerire, ma da ultimo gratificante. E ancora, non può essere tralasciata la letale title-track, l’episodio forse più equilibrato, e senza dubbio il più convincente dell’intero disco. Peccato allora per i mezzi passi falsi come l’opener “O Captain, My Captain”, che dopo un avvio travolgente con un riffing schiacciasassi che prometteva sfracelli si smarrisce in una selva di evoluzioni e cambi di tempo troppo dispersivi, e per i brani privi di mordente come l’inconcludente “Mechanismo”, tanto elaborata che quasi dispiace definirla riempitivo.
Se è vero che senza la spinta propulsiva dei pionieri ogni scena musicale è ineluttabilmente destinata a imputridire nei propri stessi cliché, è d’altra parte anche vero che, di tanto in tanto, è piacevole riposarsi con un disco che lascia affiorare tra le sue note la purezza incontaminata del passato. Senza dubbio gli Antiquus non sono tra le band destinate a stravolgere il corso della storia e, di questo passo, il loro nome non ha grandi possibilità di conquistarsi un posto negli annali. Ma gli appassionati e i nostalgici che amano questa musica possono star certi che, a conti fatti, non ne saranno troppo dispiaciuti.
Tracklist:
1. I-Captain, My Captain
2. II-Eleutheria
3. III-Meta Incognita
4. IV-Redemption
5. V-I Am Alive
6. VI-Leaves of Grass
7. Mechanismo
8. KT Event