Recensione: Elevate
Punta forte su di loro Frontiers ed è facile comprenderne le ragioni.
I Landfall sono una buona scoperta proveniente dalla sempre più fertile terra carioca. Hanno ottime qualità complessive, insieme si muovono molto bene ed incarnano alla perfezione il prototipo della band di valore che spicca dal catalogo in forza all’etichetta partenopea.
Ovviamente fanno melodic rock.
E lo fanno davvero bene: lo avevamo già intuito con il loro disco d’esordio “The Turning Point” (2021), condensato di atmosfere da manuale di quello che è il caratteristico suono fondante del genere. Journey, Survivor e Foreigner – il famoso “trio magico” – la base stilistica del loro credo musicale. Addizionati ad alcuni spunti leggermente più spigolosi (poca roba a dire il vero), utili a movimentare il panorama.
Soprattutto, sono musicisti di alto lignaggio. Presi singolarmente potrebbero cavarsela con grande merito in qualsiasi contesto, senza sfigurare nel confronto con tanti dei pesi massimi attualmente in scena. Punta di diamante – e non potrebbe essere diversamente – è il singer Gui Oliver (ex Auras), un talento dalla voce magica, espressiva e ricca di colore per cui si sprecano da tempo i paragoni con il divino Steve Perry.
“Elevate” è il secondo album del quartetto di Curitiba, disco che s’inserisce nella scia del predecessore, rinnovandone taglio stilistico, atmosfere ed attitudine.
Il marchio dei Journey è ancora una volta il sigillo che determina ed innerva la gran parte delle canzoni, senza tuttavia rendersi ingombrante al punto da adombrare l’evidente personalità del gruppo. Che, con questa nuova uscita, sembra potersi dire maturata ed affinata. Ci sono poi, inattese svisate class metal che saettano qua e la. Un arricchimento del songwriting che giova e rende persino più fascinoso il risultato finale.
Difficile dire, come spesso accade, se ci possa essere originalità in un cd di questo tipo. Quel che è certo è che i Landfall sanno come scrivere belle canzoni di rock melodico così come ci è stato tramandato proprio da Neal Schon sin dagli inizi degli anni ottanta. Con sicurezza e credibilità, riverenza ma pure una dose di talento proprio e ben definito.
Al punto che, qualsiasi fruitore appassionato di questo tipo di suono, ben difficilmente potrà dirsi deluso o colpito negativamente da quanto udibile nel secondo capitolo prodotto dai Landfall.
L’approdo del gruppo brasiliano, così come ci suggerisce il loro bizzarro moniker, è verso brani dalla struttura semplice che gratifica con ampie dosi di melodia ed atmosfere positive.
I testi non sono particolarmente impegnativi, ma in una cornice simile non servono neppure. Canzoni come “Feels Like Summer”, “H.O.P.E.“, “Rescue Me“, “Elevate” e “Shadows of Love” trovano la loro forza nell’essere frizzanti, spesso gioiose e ricche di vitalità.
Un pezzo come “The Wind” poi, rappresenta una volta tanto il tipo di ballad che personalmente preferiamo. Non troppo sbrodolosa ed ultra zuccherina, con un po’ di passione ma anche discreta verve utile a non annoiare. O peggio, farsi sorprendere da qualche sbadiglio.
La conclusione scattante di a “Chance of Destiny”, chiude il cerchio di “Elevate” riprendendo l’urgenza più riottosa dei primi brani in scaletta (“Never Surrender” e “Strangers”). Il coronamento di una seconda uscita che conferma le impressioni più che positive ricavate all’epoca del debutto. Una “possibilità offerta dal destino” che pare raccolta nel migliore dei modi per Gui Oliver e Marcelo Gelbcke, le due personalità dominanti della band.
I Landfall sono una realtà forte, credibile e decisamente solida.
Sicuramente una band “vera”, non il solito progettucolo estemporaneo costruito come un Lego e senza un futuro tangibile. Anzi, con buone chance d’intraprendere una carriera duratura e con ottime qualità di cui disporre, utili nel porsi sempre con più sicurezza all’attenzione degli appassionati.
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