Recensione: Embrace the Silence

Di Gaetano Loffredo - 29 Settembre 2005 - 0:00
Embrace the Silence
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Anno: 2005
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61

Il five piece australiano che assume il monicker Vanishing Point è ai margini della scena heavy metal sin dal 1997 in concomitanza con l’uscita del debut album “In Thought” dalle forti tinte progressive, influenza che col tempo è pian piano scemata a vantaggio di un power metal assai melodico anche se a tratti spiacevolmente ordinario.
Forse non tutti ricordano la loro partecipazione come spalla (insieme ai Sonata Arctica) dei Gamma Ray al world tour di “No World Order” grazie soprattutto ad un secondo disco “Tangled in Dream” che si è accaparrato più di un consenso favorevole negli alti ranghi del settore.

Transitati dalla Lmp Production alla neonata etichetta di quella vecchia volpe di Piet Sielk, la Dockyard1, i Vanishing Point sono approdati alle soglie della fatidica prova del 9, Embrace the Silence è infatti il terzo capitolo di una, in ogni caso, offuscata carriera.

La copertina raffigura l’entroterra di una cittadina all’apparenza vuota con una vettura che percorre solitaria la corsia centrale di una strada poco illuminata. Il disegno di un busto umano che abbraccia metaforicamente il laconico panorama vorrebbe evidenziare l’avvilente stato emotivo della società odierna, condizione che trova conforto nella musica proposta dal quintetto di Melbourne, specialmente attraverso determinati capitoli e, in modo particolare, quando ci si trova ad ascoltare le ottime melodie di pianoforte vero e proprio punto (uno dei pochi) di forza di Embrace The Silence.

Il suono che fuoriesce dal dischetto è molto simile alle recenti produzioni scandinave e, se non fosse per l’accurata biografia pubblicata sul sito ufficiale, potreste facilmente scambiare i Vanishing Point per l’ennesimo tentativo clone ma, alcuni dettagli non troppo in risalto come la sporadica propensione al dettaglio tecnico, li differenziano dalla branca menzionata, particolare da non sottovalutare.

Ottanta minuti per un LP di questo livello sono pesanti da digerire; tredici brani che hanno una media di 6 minuti cadauno possono fare la felicità di chi sta ascoltando un capolavoro e non faranno certamente quella di chi sta ascoltando un lavoro poco più che sufficiente, causa, semi-piattezza collettiva nel songwriting.
La partenza non è affatto negativa; Hollow non a caso è stata inserita al primo posto nella tracklist definitiva in quanto brano compatto e piacevole; molto melodico grazie all’apporto di una tastiera padrona della scena e dal refrain avvincente.
Le due asce alternano in modo efficace i compiti prestabiliti e la voce di Silvio Massaro (di chiare origini italiane come avrete intuito) garantisce discreta competenza e preparazione artistica a dispetto di un timbro che non riesce a catturare l’attenzione e che raramente, nel bene o nel male, ci invita a soffermarci su di esso.

I momenti “caldi” del disco sono praticamente nulli; la dozzina di pezzi successivi all’opener certificano la staticità compositiva dell’up tempo If Only I, e dei mezzi tempo Live 2 Live e Season of Sundays. Si salva la seconda metà della “fatica australiana” grazie ad una ballad azzeccata, Breathe, e ad una probabile hit single, Somebody Save Me, semplice ma intrigante.

Se accumulate quanti più dischi potete del genere perché non riuscite a fare a meno delle novità del settore, date pure una chance a questo Embrace the Storm, non griderete certo al miracolo, siatene consapevoli.

Gaetano “Knightrider” Loffredo

Tracklist:
01.Hollow
02.My Virtue
03.If Only I
04.Live 2 Live
05.Embraced
06.Season of Sundays
07.Once A Believer
08.Reason
09.Breathe
10.Somebody Save Me
11.Insight
12.A Life Less
13.As I Reflect

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