Recensione: Emerge
I Bejelit ci han abituato, in questi anni, alle attese. Due anni tra l’esordio “Hellgate” e il suo successore “Age of Wars”, poi ben altri quattro prima di vedere, finalmente, il terzo album “You Die and I”. Di certo gli aronesi non possono essere definiti come un gruppo iper-prolifico o, d’altro canto, d’esser accusati di partorire album con lo stampino, carenti sotto il profilo della cura e dell’attenzione. L’annuncio, quindi, di questo quarto “Emerge”, a solo un anno e qualche mese dal precedente disco, è stata una notevole sorpresa. Soprattutto in virtù dell’importante cambio di line-up che ha visto l’uscita di Daniele Genugu (chitarra solista dei Bejelit fin dagli esordi) e l’ingresso di Marco Pastorino (nome noto nel panorama metal della penisola e in particolare ai fan di Secret Sphere e The Ritual). Chi si aspettava un più o meno lungo periodo di assestamento, quindi, è stato preso in contropiede, ma apprezzerà sicuramente l’uscita così ravvicinata di questo nuovo album del gruppo di Arona.
Un album che, sia musicalmente che per le tematiche, si distanzia notevolmente dal suo predecessore “You Die and I”. Con “Emerge”, infatti, buona parte della negatività, dell’alone dark che aveva contraddistinto il precedente CD, sembra essersi dissolta. Rimane la violenza e l’aggressività che da sempre contraddistinguono i Bejelit, questa volta interpretata (nei testi) anche come sprone, benzina nel motore della crescita per superare le avversità e/o costruire qualcosa di nuovo. Un tema esplicato molto bene anche dall’emblematico titolo.
Oltre ai temi, si diceva, le novità riguardano anche il comparto strumentale e melodico.
Musicalmente si riparte esattamente da dove i Bejelit ci avevano lasciati. L’inizio di “The Darkest Hour” presenta riff e tonalità molto dark, come fosse un ideale proseguo di “Orfeo 10”. Ben presto, però, queste influenze vengono messe da parte per far posto a quello che è il sound vero e proprio del gruppo aronese. Si tratta di una sorta di ritorno al passato al sound che aveva contraddistinto l’esordio “Hellgate”, un fatto che, sicuramente, molti fan apprezzeranno. “Emerge”, però, non è solo questo. Non si tratta, semplicemente, di un ritorno alle origini, di una riproposizione di quanto già fatto sentire, magari nel tentativo di riaccalappiare qualche sostenitore della prima ora scontento dall’evoluzione del gruppo. Al contrario è senza dubbio l’album più variegato, con più influenze e strumenti, della carriera dei Bejelit.
Basta attendere la terza traccia “Don’t Know What You Need” per rendersi conto di quanto appena enunciato. Si tratta di una canzone genuinamente power (distante da quel power cattivo e aggressivo che contraddistingue così bene la band), con riff ariosi e brillanti, cori epici e sottofondo sinfonico. Un pezzo che, solo poco tempo fa, non ci si sarebbe mai aspettati di sentir suonare dal gruppo. Certo, è un brano scritto completamente dal nuovo entrato Marco Pastorino, ma dà la misura di come i nuovi innesti non debbano esclusivamente adeguarsi sterilmente allo stile del combo, bensì portare le proprie idee e la propria influenza.
Le sorprese, però, non sono finite; tutt’altro.
Prima delle novità c’è tempo e spazio per la song più genuinamente Bejelit di tutto il disco che, guardacaso, è anche la titletrack dell’album. “Emerge” è un pezzo di storia del gruppo e sembra voler far fare agli ascoltatori un salto indietro nel tempo di ben dieci anni. Chiaramente è uno dei brani preferiti del CD per chi, come chi scrive, segue il gruppo fin da prima degli esordi discografici.
Ma dicevamo di alcune novità. L’elettronica era già comparsa a sprazzi, qui e là lungo la scaletta di “You Die and I”, quindi non è proprio una sorpresa vederla riproposta in “We Got the Tragedy”, anche se solo come elemento d’accompagnamento e senza mai avere un ruolo preminente. Diverso il discorso per “Dancerous”, è con questa canzone, infatti, che si notano le maggiori novità in fatto di influenze e strumenti. L’apertura demandata al violino è un primo prezioso indizio, ma lungo la sua durata oltre al piglio e al ritmo chiaramente folk, trova posto anche l’uso di uno strumento ingiustamente sottovalutato (e, purtroppo, spesso dimenticato) come la fisarmonica. Per l’occasione i Bejelit si sono avvalsi della collaborazione di Laura Brancorsini (violino, già in forze ai Furor Gallico) e Giancarlo Salaris (fisarmonica) come guest-musicians. Folk che è elemento portante anche della successiva “Triskelion”.
Con “Fairy Gate” inizia, poi, un trittico dedicato alla città di Arona, alle bellezze del paesaggio, le sue leggende e, in generale, al lago Maggiore. Proprio a quest’ultimo è dedicata “Deep Water”, forse la canzone più articolata del disco e tra le più varie mai scritte dai Bejelit. Tra i continui cambi di tempo, gli strumenti diversi, le parti campionate, gli oltre 11 minuti della sua durata passano come niente, senza mai avvertire degli stacchi o dei passaggi forzati, ma dando, al contrario, l’impressione di un unico grande affresco che contiene al suo interno un po’ di tutto.
Anche il finale è particolare, introdotto da un pezzo puramente elettronico ed estremamente claustrofobico come “DefCon 13” (tanto avulso dal resto del CD da far quasi domandare cosa ci faccia lì). La chiusura vera e propria è demandata a “Boogeyman”, una sorta di falsa ballad, dai toni molto calmi, rilassati, melodici, ma che sembra nascondere qualcosa, una seconda anima più oscura e inquietante che traspare solo da un paio di note, volutamente, dissonanti nella melodia.
Un discorso a parte merita la produzione. Sembra, infatti, che questa volta i Bejelit abbiano proprio voluto fare le cose in grande, quasi a voler definitivamente dimostrare di aver fatto il grande passo e di non esser più una “band di provincia”, ma seri professionisti. Il disco è stato registrato, come sempre, presso gli Old Ones Studio di proprietà di Giulio e Sandro Capone (mastermind del gruppo), ma per il mixing e il mastering ci si è rivolti all’estero. Il disco, infatti, è passato dai Sonic Pump Studio di Helsinki e per le mani di Nino Laurenne per quanto riguarda il mix e dai Chartmakers Studio di Svante Forsback per il mastering. Una scelta che ha certamente sgravato le spalle di Giulio (che aveva fatto il lavoro da solo per il precedente “You Die and I”) da un bel po’ di stress, ma che ha ripagato anche con un sound tutto nuovo per la band aronese.
Inoltre, particolare non secondario, i Bejelit han deciso di rivolgersi a un vero e proprio paroliere per scrivere i testi in inglese. La scelta è caduta su Nick Xas a cui i musicisti han, di volta in volta, detto cosa volevano comunicare e/o descrivere e, quindi, autore di tutte le lyrics.
Per concludere “Emerge” non è solo il quarto disco di uno dei gruppi più interessanti e personali del panorama power metal italiano, ma una sorta di manifesto di nuovo corso per i Bejelit. “Emerge” è un album estremamente variegato che ci presenta la band di Arona in splendida forma: ispirata, con tanta voglia di fare e ben lungi dall’aver terminato le frecce al proprio arco. Senza tradire in nulla la proposta musicale che li ha caratterizzati fin dagli esordi (e che abbinato alla voce di Fabio creano il loro personalissimo sound, una dote importantissima in un mercato spesso popolato e soffocato da gruppi clone), sono riusciti a inserire una serie di nuovi elementi. L’aver fatto propria una pletora di nuove influenze fa di questo CD il più eclettico fin’ora scritto dai Bejelit, soprattutto, però, siamo convinti che il vero valore di “Emerge” si rivelerà soprattutto in prospettiva e nel proseguo della loro carriera.
Tracklist:
01 The Darkest Hour
02 C4
03 Don’t Know What You Need
04 Emerge
05 We Got the Tragedy
06 To Forget and to Forgive
07 Dancerous
08 Triskelion
09 Fairy Gate
10 The Defending Dreams Battle (Aruna’s Gateway)
11 Deep Water
12 DefCon/13
13 Boogeyman
Alex “Engash-Krul” Calvi