Recensione: Empire Falling
Terzo lavoro per i Mentalist, formazione tedesca già attiva dal 2018, ma che dal 2020 in poi ha iniziato a sfornare album in sequenza. Prima Freedom Of Speech del 2020, seguito poi da A Journey Into The Unknown del 2021. Infine il nuovissimo Empires Falling, appena uscito.
Tre dischi in tre anni non si sentiva dagli anni 80 credo. Oltre alla creatività della band, un po’ di questa prolificità probabilmente sarà da attribuire al blocco delle attività live causate dalla pandemia di covid 19. Situazione che ha messo i Mentalist (e non solo loro) nella condizione forzata di concentrarsi maggiormente sui lavori in studio. Comunque stiano le cose, eccoci a parlare della nuova fatica discografica della formazione tedesco-svedese. Infatti dietro a questo moniker troviamo il trio tedesco composto da Peter Moog e Kai Stringer alle chitarre, oltre all’ex Blind Guardian, Thomen Stauch, alla batteria. Infine al microfono la voce del talentuoso cantante svedese Rob Lundgren. Da rimarcare poi gli special guest presenti: Mike LePond al basso (Symphony X, Ross The Boss) ed il tastierista Oliver Palotai (Kamelot).
Per chiudere il cerchio poi non poteva mancare la copertina ad opera dell’onnipresente Andreas Marschall.
Prodotto da Jacob Hansen (Volbeat, Amaranthe, Pretty Maids), anche Empires Falling vede i Mentalist alle prese con un power metal melodico caratterizzato da canzoni con arrangiamenti curati su cui si alternano canzoni epiche e commoventi ad altre più energiche. Diciamo subito però che la presenza di Thomen Stauch non non deve far credere di trovarci di fronte ad una versione alternativa dei Blind Guardian, in cui si possano rifugiare i fans scontenti degli ultimi lavori dei quattro bardi di Krefeld. Pur rimanendo sempre in ambito power metal siamo comunque distanti da lavori come Somewhere Far Beyond e Imaginations From The Other Side. Infatti i Mentalist cercano di creare una formula musicale che sia abbastanza personale senza richiami espliciti ad altre band.
L’apertura delle danze è affidata a Solution Revolution. Un power veloce ed immediato dal ritornello semplice. Una trovata che per quanto sia molto comune in questo genere musicale, riesce sempre ad esser efficace, riscuotendo i favori di una vasta cerchia di appassionati. In evidenza poi il doppio assolo sul finale: semplice ma comunque d’effetto. La successiva Stairs Of Ragusa si assesta su territori più melodici con belle armonie che permettono ai Mentalist di centrare l’obiettivo anche con questo brano. Ed anche in questo frangente la coppia Moog / Stringer si diletta in doppi assoli di chitarra. Una menzione va fatta poi per la voce di Rob Lundgren che con la sua tonalità rauca dà un certo di sapore hard rock ai pezzi. Un approccio che differisce dalle tonalità alte ed acute a cui si affidano la maggior parte dei cantanti del filone power.
Si prosegue su territori più melodici con Tears Within A Paradise che scivola via senza destare particolari clamori. La title track successiva è invece un mid tempo dalle atmosfere più epiche e teatrali. A dover essere sinceri anche in questo nuovo episodio la compagine tedesco-svedese tende un po’ a stentare. Pur non mancando le buone idee alla lunga il brano sembra essere un po’ trascinato: quasi a voler raggiungere per forza la durata di 6 minuti e trenta quando si poteva risolvere il tutto in meno tempo.
Si ritorna nuovamente in carreggiata con la briosa If You Really Want, con una struttura vicina al heavy-power classico arricchita da un bel ritornello vivace. Più ordinaria invece Columbus, che inizia con un intro dai sapori folk per assumere poi maggior grinta. Arriva il turno di Noah’s Ark: un mid tempo più ragionato con atmosfere epiche. Sulle stesse frequenze anche la successiva Generation’s Legacy, con buone parti teatrali ed epiche in evidenza.
Bene anche Heavy Metal Leia, una marcetta power metal coinvolgente con un classico ritornello da cantare a squarciagola. Un pezzo certamente come tanti ma che saprà certamente accontentare gli appassionati del genere.
Su Out Of The Dark le trame musicali si fanno più cupe, con la voce di Lundgren accompagnata da un arpeggio d’atmosfera per quasi due minuti, fino a quando le nerbate di batteria di Thomen Stauch fanno esplodere il pezzo in un power metal veloce e rabbioso. Sul finale poi riprende l’arpeggio di inizio canzone al quale si unisce un assolo malinconico che prosegue fino alla conclusione del brano. Si rimane in lande tenebrose anche su Years Of Slavery, che inizia come una semi-ballad dark per assumere più potenza con lo scorrere dei minuti senza perdere la sua carica di drammaticità oscura.
Concluso questo lotto di brani troviamo infine due bonus track. La prima è Forbidden Fruits, brano dall’andamento moderato che non riserva particolari sorprese e sinceramente alla lunga tende un po’ a stufare. Infine Bumblebee, un curioso pezzo con cui i Mentalist sperimentano certe soluzioni alternative. Sarà per la mia poca predilezione verso tale genere ma anche quest’ultimo pezzo lo trovo un po’ superfluo.
Empires Falling in definitiva è un buon lavoro con diversi spunti interessanti. Ogni tanto si perde in qualche passaggio forse un po’ troppo trascinato, ma riesce comunque a farsi apprezzare. Indovinata poi, come già evidenziato, la scelta di Rob Lundgren come cantante che, a differenza di molte anonime sirene da contraerea presenti nella scena power, con la sua voce calda dona il giusto pathos alle canzoni.
Pur restando un buon prodotto va comunque detto che in certi episodi non avrebbe guastato un lavoro più accurato in fase compositiva. Forse con tre dischi pubblicati in tre anni la band si è trovata a lavorare un po’ troppo in fretta. Condizione questa che ha inevitabilmente in qualche modo un po’ influito sul risultato finale.
In ogni caso per il momento ciò non costituisce nessun dramma: sul prossimo lavoro magari basterà solo fare le cose con più calma.
Noi intanto attendiamo fiduciosi.