Recensione: Empire of Sin
Nell‘anno domini 2012 attorno al batterista svedese J.K. Impera si è coagulato un “supergruppo” hard rock costituito da un pugno di artisti dal curriculum autorevole: il cantante Matti Alfonzetti, conosciuto per pregiati lavori come solista e con i Jagged Edge, il prodigioso ed iperattivo axeman Tommy Denander, ed il maestro delle quattro corde Mats Vassfjord. La band, manifestatasi col monicker Impera, ha dato alla luce, all’epoca, un esordio che ha riscosso ottimi riscontri di critica e di pubblico, Legacy of Life. Il successo di tale opera prima è stato, poi, bissato l’anno successivo dal parimenti fortunato Pieces of Eden, esempio efficace, come il suo predecessore, di hard rock pieno di feeling e memore del class metal degli Eighties.
Anno nuovo, e nuovo album, adesso, per gli Impera. Sempre sotto gli auspici della label Escape Music, il 2015 saluta, infatti, subito un nuovo full-length del combo scandinavo, che prende il titolo di “Empire of Sin”.
L’apertura del CD denota, rispetto ai precedenti, una sterzata verso un mood più orientato verso asprezze heavy: quasi un lieve snaturarsi, pur piacevolmente, verso un sound più contemporaneo e commerciale: è il caso di The Beast Is Dead, trapassato da riffoni ficcanti quasi metal, e sovraccarico di energia e groovy quanto basta, e di Don’t Stop, veloce ma meno dirompente del brano precedente.
Già con la successiva Evil (Become A Believer), però, le chitarre al fulmicotone e la sempre grande vigoria di esecuzione si orientano verso un umore maggiormente ottantiano. Difatti il protendersi verso suoni riconducibili al metal USA degli anni ottanta è, dopo, confermato da Hole In The Sky, cadenzato hard rock rischiarato da ariose armonie.
Con End Of The World gli Impera si spingono, poi, nei luoghi quieti di una ballad elettrificata ed evocativa che evoca il trend stilistico di Magnum e Dare, ma in seguito, con Thunder In Your Heart, si assestano decisamente su un hard rock eretto su pilastri costituiti da chitarre rocciose.
Tra i brani più interessanti della raccolta si distingue anche Lights In The Sky, dall’introduzione arpeggiata e sognante che poi si sviluppa in un’alternanza avvincente tra possenti e cadenzate bordate hard rock e assoli melodici, evidenziando un groove non privo di riferimenti hard blues.
Pure Darling, lentaccio dai connotati blues, è ingemmato da cristallini assoli memori di certo Gary Moore.
Empire of Sin si chiude con un uno-due tipicamente eighties, costituito dall’accoppiata Lost Boy, un frizzante e svelto hard rock che può ricordare la lezione dei Mr. Big, e Fly Away, un class rock ad alto tasso di melodia tempestato dai suoni di guizzanti sei-corde.
Annotiamo che l’edizione giapponese dei CD contiene, pure, una bonus track: si tratta di Never Enough, e pare direttamente arrivare dagli ultimi anni ottanta di matrice class metal.
Per finire: l’ultimo platter degli Impera conferma la qualità di questa band scandinava, che denota una straordinaria energia, alimentata da chitarre dominanti e mirabili e dalla grintosa voce del frontman. Empire of Sin fornisce, insomma, pane per i denti di chi ama Dokken, Lynch Mob e Mr. Big, pur non risultando nè datato nè “revivalistico”.