Recensione: Empty Faces
Come definire i Dark Sky?
German Rock? Power? Semplice Hard rock?
Un po’ di tutte queste cose in realtà.
Giunti al quarto album in carriera, i cinque tedeschi si presentano al bivio definitivo, compiendo una scelta per certi versi coraggiosa.
Attivi sin dal 1982 (ma all’esordio solo nel 2000) e dotati di un approccio molto vicino al classico rock tedesco (quello di Jaded Heart e Bonfire, per essere chiari), l’evoluzione non è mai parsa essere qualcosa di particolare interesse in seno al combo di Rottweil. Lo stesso “Living and Dying”, precedente album datato 2005 si era rivelato, infatti, un ottimo esempio di robusto hard teutonico condito da mille ed una trovate melodiche. Il tipico prodotto underground di discreto valore, figlio di una scena in costante ebollizione come quella centro-nord europea.
A sparigliare un po’ le carte ed a fornire qualche nuovo spunto, giunge ora questo ”Empty Faces”, disco fornito di un songwriting maggiormente composito, caratterizzato da una netta e vigorosa sterzata verso lidi meno “class AOR” a pieno vantaggio di energie e stilemi molto più vicini al power-prog di nuova generazione, fatto di suoni rotondi e pomposi, chitarre in piena evidenza e melodie, sempre presenti, ma decisamente più squadrate e “veloci” in alcuni casi, magniloquenti e quasi barocche, in altri.
Facile intuire un tentativo, più o meno ortodosso, di aprirsi un varco su di una fascia di mercato sempre viva e ricettiva, nel tentativo di uscire almeno in parte dallo scomodo ruolo di entità “sotterranea” a cui i Dark Sky, come una miriade di altre band, sono legati sin dagli esordi.
I risultati, detto onestamente, sono molto buoni ma non del tutto ottimi.
L’amalgama potenza-melodia funziona a dovere e garantisce un corposo numero di brani dalla scorrevolezza decisamente accettabile, quando non superiore, mentre le doti, in termini di produzione e cura dei particolari (merito dell’esperto Markus Teske, già con i Vandenplas), segnano un notevole passo avanti rispetto alle uscite precedenti.
Ciò che invece proprio non quadra, è la solita, inevitabile, mancanza di una personalità “forte” e solida che consenta una identificazione univoca e precisa, evitando al quintetto germanico di incorrere, in alcuni casi, nel più classico dei fenomeni di deja-vu ed in una ripetitività di certo non proprio apprezzabile.
Tracce interessanti come “Hands Up”, “Empty Faces” e “Pleasure & Pain” hanno dalla loro tanta verve, bei suoni e velocità d’esecuzione degna di nota, ma non riescono a raggiungere l’obiettivo di distinguersi nettamente dalla massa, lasciando, al loro passaggio, la sensazione di aver ascoltato qualcosa di gradevole ma già sentito tantissime altre volte.
Nulla di male se il genere è di vostro gradimento e se gruppi come Crystal Ball, Keldian e, in parte, Vandenplas, rappresentano un ascolto sempre ben accetto. Un po’ meno bene, se di dischi come questo ne avete già un numero elevato in collezione e se siete alla ricerca di qualcosa di fresco e non troppo derivativo.
Insomma, per rientrare in un ambito pratico e concreto e concludere velocemente, siamo alle solite.
Va tutto a meraviglia, ma l’originalità è ancora una volta merce rara. C’è di che gioire senza dubbio (ottima, tra l’altro, la riuscita cover di “Maniac”, brano portante di Flashdance, celebre film anni ottanta che i meno giovani ricorderanno di certo), ma l’odore di idee riciclate è evidentissimo e sin troppo palese.
Ci si può accontentare. Ma la vera eccellenza sta altrove.
Tracklist:
01. Hands Up
02. Empty Faces
03. Slave Of Time
04. Send Them To Hell
05. Chase Your Dreams
06. Maniac
07. Saints Beneath The Sky
08. Pleasure & Pain
09. Believe It
10. Meaning Of Life
11. Final Day (Hidden Track)
Line Up:
Frank Breuninger – Voce
Steffen Doll – Chitarra
Uwe Mayer – Batteria
Winny Zurek – Basso
Claudio Nobile – Tastiere