Recensione: Empyrean Realms
Sono americani, ma ad ascoltarli “alla cieca” sarebbe quasi impossibile supporlo.
Con un sound di radice profondamente nord-europea, gli Armory sestetto di Townsend – Massachussetts – non fa troppo mistero di influenze e derivazioni che colgono a piene mani nel vecchio continente, pescando a tutto spiano dalla scena tedesca/scandinava di concetto più tradizionale.
“Empyrean Realms” album che scopriamo essere il secondo in carriera dopo una fondazione avvenuta già nell’ormai lontano 2001 è, infatti, un disco “heavy-power” nel senso più letterale del termine.
La velocità galoppante di Helloween, Gamma Ray, Pagan’s Mind, Elegy, Hammerfall e Nocturnal Rites, mescolate con sferzate Maideniane ed un tocco di power-prog tastieroso alla Symphony X: di originale ed innovativo, in effetti, non c’è proprio nulla. Di sostanza, per la verità, parecchia.
Tralasciando qualsiasi teoria in merito all’originalità o all’essere precursori di questo o quel genere, va dato atto alla band statunitense di aver centrato almeno un obiettivo non da poco: quello di mettere insieme un album che si ascolta con piacere, scorrevole nella sua interezza e – ulteriore motivo di vanto – prodotto in maniera ineccepibile.
Come quasi scontato, la visione del power proposta dagli Armory è un po’ “manualistica” e non offre i brividi di una scoperta carica di cose inaspettate e passaggi imprevedibili.
Tuttavia ci chiediamo ad esempio, quali possano essere i motivi di critica teoricamente da imputare ad un brano come l’iniziale “Eternal Mind”. Pochi per la verità: veloce, melodicamente ben impostata, ricca di ceselli di chitarre, cantata senza incertezze e supportata dal classico lavoro di doppia cassa che viaggia inarrestabile. Un bel sentire insomma, anche se la formula non dice assolutamente alcunché di nuovo.
Ben lontano dall’essere definito dozzinale, l’addestramento della band americana denota una comprensione della materia che è patrimonio di chi ne ha meditato a lungo i dettami.
Solo, infatti, conoscendo a memoria l’”ABC” del power metal e non per mera casualità, è stato possibile mettere in costruzione una coppia di tracce come “Beyond The Horizon” e “Reflection Divine”, binomio di sventagliate heavy che assommano ad un “tiro” notevole, la drammaticità del prog e linee melodiche non banali, cui vanno ad aggiungersi piacevoli ritornelli alla “Iron Savior”.
Un livello di perfezione nei movimenti che si rivela emblematico di quanta cura ed impegno abbiano riposto i membri del gruppo nel confezionare “Empyrean Realms”, disco elaborato, raffinato e cesellato in un arco temporale lungo quasi un lustro.
Notevolissimo poi, il profilo tecnico dei due chitarristi Chad Fisher e Joe Kurland, protagonisti del cd letteralmente in lungo ed in largo. Sono loro a definire in modo compiuto il sound degli Armory, arricchendolo di una pioggia incessante di accordi, duelli e rincorse che richiamano spesso alla memoria l’esuberanza propria che era ed è di Helloween e Gamma Ray.
Con un brano come “Inner Sanctum”, ancora una volta studiato in modo da assommare le tipiche trame power con melodia e ritornello dinamico, è possibile simbolicamente “marchiare” questo secondo album realizzato in carriera dagli Armory, utlizzandone le note come un esempio rappresentativo.
Non ci sono motivi per esclamare “oh che novità”, ma perbacco, che gran bel viaggiare quelle due chitarre che scattano sovrapponendosi, supportate dalla batteria e da un gioco di tastiere arioso e frizzante…
Se fossimo ancora a cavallo degli anni novanta, preconizzeremmo un possibile futuro sotto contratto con una label come Noise Records o Rising Sun.
Purtroppo i tempi sono molto cambiati: tanti pesci nel mare, necessità di risultati immediati e band senza talento ma dall’appeal commerciale che impazzano, lasciando misere briciole a chi, un minimo di effettiva caratura artistica ce l’avrebbe pure.
Ed è così che ottimi gruppi come gli Armory (ma come gli stessi Montany che abbiamo commentato qualche tempo fa, o i Memento Waltz e chissà quanti altri…) sono costretti ad inventarsi la propria etichetta personale, prodursi il disco in proprio e spedirlo in giro, autofinanziandosi sin nei minimi dettagli della promozione.
Un peccato anche stavolta. I fratelli Kurland ed il loro volonteroso manipolo di power metallers, meriterebbero, come molti altri, una chance di tutto rispetto…
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