Recensione: End Of Disclosure
Tornano gli Hypocrisy, ormai tra i protagonisti di prima grandezza del metal mondiale.
A quattro anni di distanza dall’ultimo “A Taste Of Extreme Divinity” e dopo aver celebrato il ventennale con la pubblicazione del DVD “Hell Over Sofia” nel 2011, il trio capeggiato da Peter Tägtgren è più che mai intenzionato a legittimare il proprio posto nel gotha della Nostra musica, proseguendo di fatto la seconda giovinezza cha sta vivendo ormai dalla metà degli anni novanta nonché la ‘luna di miele’ con Nuclear Blast Records, che per l’occasione non si è risparmiata nel battage promozionale.
“End Of Disclosure” segue la scia tracciata dagli ultimi lavori degli svedesi, aggiungendo poche novità veramente rilevanti. Sotto quindi con il death metal melodico, asciutto e senza tanti fronzoli, uno stile che consente a Mr. Tägtgren di sciorinare tutto il suo innato talento compositivo e di creare per l’occasione nove canzoni che confermano appieno lo status della band, consegnando anche alcuni potenziali nuovi classici al repertorio.
Sul piano delle ‘variazioni di tema’ sono da sottolineare alcuni brevi ma funzionali arpeggi, degli sconfinamenti in territori thrash in determinate ritmiche/riff e ancora strizzate d’occhio verso il metal estremo più moderno, ingredienti che rendono più varia e succulenta la portata. Il tutto viene esaltato dall’ottima produzione a cura dello stesso Peter che per l’occasione ha optato per un volume basso e poco distorto, una scelta in controtendenza rispetto alla ‘war loudness’ imperante negli ultimi anni ma che dona grande nitidezza al suono.
Inizio classicamente affidato alla title-track e pezzo più accessibile del disco che non a caso è stato scelto come singolo apripista: trattasi infatti di un mezzo tempo dal ritornello arioso, se tale aggettivo può essere utilizzato in un brano comunque extreme metal. Già da queste prime note risalta una costante dell’intero CD, vale a dire la grande cura dei bridge e dei refrain, strutturati in modo tale da memorizzarsi rapidamente. “Tales Of Thy Spineless” è il perfetto contraltare della precedente, dato l’incipit furibondo e velocissimo imposto da quel fior di batterista che è Horg e il profondo growl di Peter. La composizione risulta dinamica al punto giusto grazie anche allo stacco ‘thrasheggiante’ (con tanto di recitato) prima della ripresa dell’ottimo ritornello.
L’alternanza di canzoni più melodiche con altre dove è la violenza a fare la voce grossa è un’altra caratteristica di “End Of Disclosure”, ma questo non è affatto un problema, anzi rende desta l’attenzione lungo tutto l’ascolto, anche perché con titoli del calibro di “The Eye” (a parere di chi scrive, la migliore) e “44 Double Zero” per le prime e “United We Fall” e “When Death Calls” tra le seconde, puoi contare su un lotto di canzoni dannatamente godibili e convincenti.
Non possiamo accludere tra gli highlights, invece, la cadenzata “Hell Is Where I Stay” che vorrebbe essere un sinistro spartiacque tra le due parti del disco ma non riesce a imporsi, facendosi notare soltanto per il basso distorto del diligente Mikael Hedlund; un piccolo passo falso che fa da spartiacque verso la seconda metà del platter la quale, pur non raggiungendo i picchi della prima a causa di qualche cedimento (“Soldier Of Fortune” è carina e nulla più) rimane comunque gradevole e si segnala soprattutto per il finale affidato come da copione a un pezzo sulfureo, epico e solenne come “The Return”.
Che chiude degnamente l’ennesimo bel disco degli inossidabili Hypocrisy, in forma oggi come venti anni fa e c’è da giurarci come nei prossimi.
Matteo Di Leo
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