Recensione: Endless blue

Di Alessandro Rinaldi - 7 Ottobre 2023 - 0:43
Endless blue
Etichetta: ATMF
Genere: Black 
Anno: 2023
Nazione:
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75

I Deadly Carnage sono una band dell’Emilia Romagna nata nel lontano 2005, da un’idea di Andres (basso) e Marco (batteria), muovendo i primi passi nella scena più propriamente black metal; dal 2008 hanno iniziato a contaminare la loro musica con influenze doom, post-rock e post-metal, creando un’atmosfera manicheista che ha contribuito a creare un’atmosfera di oscuro incanto.

Endless Blue è il quinto lavoro in studio ed è un concept legato all’estremo oriente, come si evince anche dalla bellissima copertina che richiama lo stile illustrativo nipponico, con l’immancabile riferimento del Sol Levante. Il folklore giapponese, poi, è assai diverso e ben più variegato rispetto a quello Occidentale, con dinamiche più naturalistiche. Il disco è liberamente ispirato alla malinconica leggenda di Urashima Tarō, un pescatore che, dopo aver soccorso una tartaruga marina malmenata, viene invitato nel Ryūgū-jō (il palazzo del Drago); dopo aver trascorso tre giorni in questa reggia, viene sopraffatto dalla nostalgia e vuole tornare a casa dopo aver ricevuto in regalo una scatola tempestata di gioielli, scoprendo che nel mondo reale sono passati diversi anni e che nessuno può ricordarsi di lui. Caduto poi in depressione, si reca in spiaggia e apre la scatola avuta in dono che conteneva una nuvola bianca, che lo fa invecchiare.

Il disco propone otto brani, per un totale di quasi quaranta minuti di musica, suonata dalla line up base – Alexios alla voce, Dave alle chitarre e piano, Andres al basso e Marco alla batteria – e da un paio di ospiti speciali: Mike Crinella degli Ashes of Chaos (synth, piano, bouzouki, liuto, mandolino) e The nameless goblin (all’erhu). Endless blue, contiene in sé un gioco di parole: blue vuol dire malinconia, ma allo stesso tempo il colore blu – associato alla tristezza, ma anche al mare, che gioca un ruolo fondamentale nella leggenda di Urashima Tarō. E quel senso di spleen pervade tutto l’album, prendendo l’ascoltatore per mano e, come un moderno Virgilio, conducendolo attraverso le fasi diverse di questo stato d’animo. Gli arrangiamenti sono meravigliosi e soavi, lasciano un senso di uggiosa pace che ti entra dentro e inizia a scorrere come un fluido invisibile nel corpo e ti lascia inerme. L’animo di Endless Blue è decisamente black: ci sono, nella struttura portante delle canzoni, chiari riferimenti che diventano palesi in brani come in Sublime Connection o Swan Season o Moans, Grief And Wails,  che poggiano su una solida struttura che attinge al passato della band e al tempo stesso prendono vie più contaminate, tra il post black e il doom, coadiuvati da una pluralità di suoni che arricchiscono la loro musica e la portano verso un sound particolare e ricercato. Pregevole il contributo dato dalle special guest, alle prese con strumenti della musica tradizionale orientale, oppure i numerosi suoni che richiamano agli elementi marini, un chiaro riferimento alla leggenda che ispira l’intera opera. Ma il momento più alto è Mononoke: una solida canzone caratterizzata da un riff che è uno tsunami e un drumming ritmato, l’unico brano cantato in giapponese. Il lavoro in studio valorizza alla perfezione la filosofia alla base del lavoro, trovando un perfetto equilibrio tra passato e presente e lasciando spazio tanto alle ombre quanto alle luci. Andando a cercare il pelo nell’uovo, il disco ha solo un particolare che potrebbe far storcere il naso: l’assenza del growl. La voce di Alexios è perfetta per il lato malinconico ma…manca il lato black: un’alternanza tra clean e growl avrebbe potuto dare maggior corpo ad un lavoro di livello, accentuando il lato più oscuro – un buio che si percepisce e si tocca, ma che non trova comunque una valvola di sfogo nel cantato.

In ogni caso, Endless Blue resta un’opera di livello, una meravigliosa colonna sonora della stagione che stiamo vivendo: un decadente, malinconico, autunno.

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