Recensione: Endtime Poetry
Dodici anni per giungere alla pubblicazione del debut-album. È questa, la situazione degli Halls of Oblivion, nati nell’ormai lontano 2007 e solo ora autori di “Endtime Poetry”. Una situazione piuttosto comune a varie band, rallentate da incidenti di percorso i più disparati possibili: cambi di line-up, progetti paralleli, malattie, decessi, ecc.
I tedeschi, però, mostrano sin da subito una qualità tecnico/artistica a livello internazionale, poiché il neonato possiede tutte le caratteristiche necessarie a sgomitare con gli altri. Anche se l’etichetta discografica, la Metalapolis Records, non è una major, “Endtime Poetry” risulta difatti riuscito sotto tutti i punti di vista. Una gradita sorpresa che porta inevitabilmente a pensare che non bisogna mai arrendersi e che, prima o poi, arriverà il… momento.
Gli Halls of Oblivion predicano il melodic death metal, ma non convenzionale. Lontano dagli echi provenienti dal Nord Europa, essi propongono uno stile decisamente personale, diverso dai soliti cliché, insomma. Melodic death metal sì, tuttavia abbondantemente influenzato da black, doom e gothic. Gothic di derivazione novantiana, per intendersi, quando il genere defluiva assai vicino al death. Abbondantemente sì, completamente no. Con abilità, i Nostri riescono con facilità a percorrere la linea rossa che segna il loro cammino, senza mai discostarsi da essa. Il che significa che i tre generi anzidetti fungono da motore per una foggia musicale diversa, univocamente determinata, che mantiene intatto il suo approccio al death metal melodico stesso.
Un approccio caratterizzato in primis dal pesante lavoro della lead guitar, autrice di tutte le armonie che si trovano nel platter. La voce, infatti, è assestata su un growling sofferente – a tratti sconfinante nello screaming – ovviamente incapace di dettare i tempi per le melodie; essendo del tutto assenti le clean vocals. Ecco allora che Marcel Welte rappresenta il cardine su cui ruota un sound possente, a volte sconfinante nei blast-beast (‘The Final Regret’), costantemente lucido nel senso che non sborda mai dalle suoi dettami stilistici. In tal senso, un sound che è anche identificativo del romanticismo teutonico, dato che il mood predominante è quello della melanconia, del languore che stinge il cuore, di una naturale propensione verso un lirismo per niente esasperato ma dolce, caldo, appassionato (‘Vanishing Woods’, ‘A World Falling Apart’).
Uno stile un po’ vintage, quindi, intendendo esplicare con tale termine un’interpretazione che rimanda indietro nel tempo, quando – come più scritto – abbondavano i gruppi, specialmente mitteleuropei – dediti a una specie di neo-romanticismo assai coinvolgente ed emotivamente profondo. Qualità che si ritrovano tutte in “Endtime Poetry”.
Se nulla si può dire di un sound, scevro da evidenti difetti e sempre coerente con se stesso, qualche difetto emerge dalle song. I fini e sofferti orpelli dorati dalla chitarra di Welte tendono a uniformare un po’ troppo le song stesse, rendendone difficile il discernimento di una rispetto all’altra. È comunque una manchevolezza che piano piano tende ad assottigliarsi a mano a mano che si sommano gli ascolti. Solo dopo molti passaggi si riesce a cogliere qualche elemento da mandare a memoria. Manca, cioè, nel songwriting, il famigerato quid in più tale da far decollare il CD in alto, oltre le vette che separano un buon lavoro da uno ottimo.
In ogni caso, proprio per la sua armonia e melodiosità, “Endtime Poetry” è adatto a tutti, non solo agli appassionati del metal estremo. Formazione in ogni caso interessante, quella degli Halls Of Oblivion, da attendere pertanto alla seconda prova in studio.
Daniele “dani66” D’Adamo