Recensione: Endtime Signals
Endtime Signals: un titolo che potrebbe far presagire un’imminente fine ma che in realtà rappresenta l’ennesimo nuovo inizio per la band melodic death metal svedese, ormai sempre più capitanata da Mikael Stanne, che in questi ultimi anni ha vissuto l’ennesimo cambio di line-up con l’entrata di Christian Jansson al basso e Joakim Strandberg Nilsson alla batteria (membri che comunque suonavano già live con il gruppo dal 2021). Ma Endtime Signals è anche un riferimento al mondo che ci circonda, con uno sguardo al periodo pandemico che abbiamo appena passato, oltre che un sincero tributo al compianto Fredrik Johansson, ex-chitarrista della band che ha fatto parte dei Dark Tranquillity dal 1994 al 1999, morto prematuramente per via di un tumore nel 2022. Questa nuova fatica di Stanne e soci è rappresentata da un disco malinconico e atmosferico che tanto si basa sull’uso delle tastiere e dei sintetizzatori che ci vogliono riportare a quelle atmosfere dark in stile Fiction, senza allo stesso tempo stravolgere un sound che ormai ha la sua ben riconoscibile caratteristica dai tempi di Haven del 2000 con pochissime derive e sperimentazioni.
Questo Endtime Signals è un disco fortemente pessimista per ammissione dello stesso Stanne, dove i testi come al solito sono molto introspettivi e riflettono sulla natura umana il più delle volte, mantenendo però quell’aspetto criptico che ha sempre contraddistinto la scrittura dello stesso vocalist e facendo in modo che essi stessi possano essere interpretati in diversi modi dall’ascoltatore. A livello di songwriting, questo disco, al contrario del precedente, è stato scritto interamente dal trio Brändström – Reinholdz– Stanne, che però ha tratto ispirazione (come dichiarato in più interviste dagli stessi membri dei DT) dai nuovi arrivati, il cui impatto si sente soprattutto per quanto riguarda le parti di batteria di Joakim Strandberg Nilsson. Esse infatti appaiono più dinamiche ma anche con qualche piccola novità qui e lì, come le piccole sezioni in blast-beat nel brano Unforgivable, uno dei pezzi più diretti ma anche meglio riusciti del lotto: davvero furioso e granitico in un lavoro che spesso sceglie al contrario di affidarsi maggiormente ai synth, alle tastiere o anche alle orchestrazioni (seppur minimali) creando quel sound dark, malinconico e affascinante che ha sempre contraddistinto in parte la musica della band.
Un’altra nota da menzionare è la voce pulita di Stanne che, in questo album, trova molto spazio con addirittura due canzoni intere completamente cantate in clean come False Reflection e la bellissima One Of Us Is Gone. Un sentito tributo al loro ex-chitarrista e amico che ha partecipato indirettamente alla composizione di questo pezzo avendo inviato alla band alcune sue idee musicali che, dopo la sua morte, sono state elaborate e trasformate in questo toccante brano dove viola, violoncello e violino aggiungono tanto pathos e atmosfera alla composizione che, con il suo crescendo musicale e la magistrale interpretazione del vocalist svedese, riesce davvero ad emozionare l’ascoltatore
L’altro aspetto che ci ha positivamente colpito di questo disco sono gli assoli di chitarra, sempre molto godibili e in tema con i pezzi proposti, veloci e ipertecnici in brani come la già menzionata Unforgivable o più melodici e atmosferici in composizioni più mid-tempo e dal mood più dark come Not Nothing. Ci sono diversi brani degni di nota in questo platter come la più aggressiva, apocalittica, ma allo stesso tempo atmosferica Enforced Perspective, anche qui con dei piccoli inserti in blast-beat verso il finale, un assolo al cardiopalma e delle liriche bellissime che sembrano parlare delle ambizioni e della natura dell’essere umano, allo stesso tempo rapportandosi alla sua fragile e fugace esistenza soprattutto se accostata alla grandezza del cosmo e tutto ciò che ci circonda (emblematica è la frase “we set our sights too far, we narrowed our scope, I hold my hand to the sky for scale to prove my insignificance”). Purtroppo un buon numero di questi brani si auto-intrappolano nel loro voler essere sempre e per forza in quel limbo dove le composizioni appaiono sempre oscure, malinconiche e dark; queste sono spesso dei mid-tempo o qualcosa dal ritmo leggermente più sostenuto, dove la voce in scream di Stanne è l’unico vero elemento che dà un pochino di pepe al lotto ed in effetti, bisogna davvero dare atto al vocalist di aver eseguito il solito grande lavoro alternandosi spesso tra le cleans e la voce in scream con risultati sempre convincenti. Un esempio è Wayward Eyes dove è la performance dello stesso vocalist a salvare il destino di una canzone che altrimenti sarebbe piuttosto dimenticabile (anche se gli elementi di tastiera nel background che danno un tocco quasi synthwave al brano sono una bella trovata).
Le atmosfere spettrali e distopiche nel penultimo brano A Bleaker Sun sono una gran bella sorpresa nella tracklist di questo disco posta quasi in chiusura che per certi versi ricorda alcuni momenti più apocalittici e oscuri della discografia della band come Arkhangelsk da We Are The Void o Inside The Particle Storm da Fiction, grazie alle sue atmosfere e ai suoi riff granitici. Da segnalare l’assolo melodico di questa canzone che poi sfocia sul finale del brano… davvero di gran gusto! Purtroppo accanto a questi pezzi ce ne sono altri decisamente più “banalotti” e che faticano a spiccare soprattutto considerata la vastità della discografia della band svedese. Drowned Out Voices è il solito brano abbastanza “paint by numbers” dei DT, nonostante la bellissima melodia vocale in pulito di Stanne e il climax finale della canzone che salvano il pezzo dalla mediocrità; un finale bellissimo condito da un testo splendido e riflessivo che parla della ricerca e della manipolazione della verità nel mare di falsità e fake news che ci circondano. Davvero d’effetto la frase finale “we are too easy to manipulate, now the value of our words reside in the space between us”. Una chiusura di canzone insomma che avrebbe meritato un brano migliore nella sua interezza. Lo stesso non si può dire di Neuronal Fire, un brano che funziona dall’inizio alla fine con il suo andamento più mid-tempo, la sua sequenza di accordi in chiave maggiore con cui è scritto il brano nella sua prima parte (cosa solitamente non usuale per un pezzo dei DT) e il suo mood atmosferico e oscuro. Buona ma non eccessivamente entusiasmante l’iniziale Shivers and Voids, che funziona fino ad un certo punto come apripista del disco, con delle belle soluzioni chitarristiche alla fine del brano per un pezzo che manca di qualche asso vincente in più ma che non dispiace nella sua interezza grazie alle sue chitarre granitiche e in generale il buon lavoro fatto in sede di composizione. La closer False Reflection invece prova a costruire un brano emotivo dettato dal lato sinfonico e la voce pulita di Stanne ma per quanto ci riguarda non riesce ad ottenere lo stesso risultato di One Of Us Is Gone.
In conclusione un album, questo dei Dark Tranquillity, che non sposta gli equilibri né a livello di ispirazione compositiva né a livello di sound rispetto a quello che la band ha partorito negli ultimi quindici anni, rilasciando al pubblico un disco enigmatico e atmosferico, un viaggio in tinte dark che potrà benissimo far da colonna sonora ai vostri pensieri introspettivi, con qualche buon asso nella manica, qualche sorpresa interessante a livello sonoro, una buona produzione, ma forse anche qualche brano “di mestiere” (ascoltabile ma non esaltante) di troppo. Rimaniamo dell’idea che il miglior disco della band svedese degli ultimi quindici anni continui ad essere senz’altro Atoma, ma questo Endtime Signals è un altro tassello che sicuramente i fan della band apprezzeranno, specialmente quelli che amano il lato più atmosferico, plumbeo ed emozionale della musica della band.