Recensione: Engraved In Black
Colpaccio grosso per i Graveworm che approdano sul colosso dal nome Nuclear Blast: un bel successo per un gruppo con alle spalle qualche annetto di militanza nel settore, e che ora vede aperte davanti a sè vie una volta forse inimmaginabili. E per partire subito alla grande, eccoli presentarsi di nuovo di fronte al pubblico con un album bello, molto ben prodotto, e con tutte le potenzialità per essere uno dei vostri ascolti più graditi dei mesi a venire.
“Dreaming Into Reality” mette subito in luce l’essenza della loro musica, e pur essendo uno degli episodi più facili da mandar giù, alla resa dei conti risulta anche uno dei più interessanti. Un uso delle tastiere più o meno discreto a seconda delle circostanze fa da contorno ad un black molto lineare e scorrevole, privo di sbandate eccessive o cambi di rotta radicali. Con “Legions Unleashed” la band mette in campo il proprio lato più violento e aggressivo, riuscendo ancora una volta ad unirlo al suono più morbido delle tastiere, sempre e comunque relegate per lo più al ruolo di sottofondo, escluso un piccolissimo inserto d’organo e qualche breve stacco che spezza il ritmo incalzante.
Impossibile non parlare della cover, a modo suo sconvolgente ma veramente eccezionale! Per l’occasione ci viene proposta “Loosing My Religion” dei REM… Se detta così potrebbe apparire un esperimento carico di ironia, vi assicuro che non è questo l’effetto desiderato (così come quello ottenuto). Cosa che per altro mi è stata confermata dal cantante in sede di intervista. Bene, la canzone ricalca la struttura dell’originale, alla quale si viene più o meno facilmente ricondotti dal classico arrangiamento di pianoforte. Tuttavia sono in grado di donarle un’atmosfera completamente a tema con l’album, ovviamente anche nello stile.
Attacchi come “Beauty Of Malice” mi rimandano a quello che fu un grandissimo album nella storia del black sinfonico, ossia Forest Of Witchery dei Thy Serpent… anzi, è meglio dire che riconfermano un’impressione abbastanza costante in tutto il cd. Pur non raggiungendo lo stesso livello di maestosità (e, passatemelo, di genialità), l’impronta sembra essere molto simile. Nella chiacchierata col cantante ho poi avuto modo di scoprire che questo è solo un caso, visto che la band finlandese non rientra molto tra i loro ascolti, ma per dare maggiormente il senso di quello che troverete in Engraved In Black mi sembra un buon esempio.
Insomma, questo ultimo lavoro dei Graveworm mette in luce la possibilità di suonare un black melodico che non si lascia andare a inutili fughe neoclassiche, o a pretenziosi arrangiamenti baroccheggianti. L’attenzione è tenuta alta per più di 40 minuti senza ricorrere ad alcun “sotterfugio”, ma basandosi sempre sul gusto melodico che il gruppo dimostra di avere in abbondanza. Tutto però si ferma qua, ad un discreto lavoro, con discreti spunti messi giù nel migliore dei modi. Un album carino, che segna un passo importante nella carriera della band ma che ancora non è un punto di arrivo. Ora non ci resta che aspettare la prossima.
Matteo Bovio