Recensione: Ensemble Under the Dark Sun

Di Daniele D'Adamo - 14 Luglio 2023 - 0:00

Dalla Turchia arrivano i Serpent Of Old. “Ensemble Under the Dark Sun” è il loro full-length di debutto.

È cosa buona e giusta sottolineare anzitutto che la qualità del disco è di buon livello. Un disco dotato di una notevole personalità, che dà la sensazione di essere stato realizzato da una band di lungo corso, invece da chi è alle prime armi in materia di fabbricazione musicale. Ciò induce ovviamente a pensare che Ozan Gürbüz e i suoi quattro compagni d’arma non siano affatto di primo pelo.

Detto ciò, non resta che immergersi nel disco stesso. Quello che serve e un’immersione lenta. Sì, perché “Ensemble Under the Dark Sun” è un prodotto da consumare con molta circospezione, evitando passaggi tanto superficiali quanto inutili alla bisogna. E questo perché un inabissamento tutt’altro che repentino consente di esplorare in profondità l’universo artistico creato dalle menti dei Nostri.

Colpisce immediatamente lo stile. Azzeccata miscela di black e death metal con una predominanza del secondo, sì da far pensare con cognizione di causa al blackened death metal. Un sottogenere peraltro in voga, da quelle parti. Comunque sia, il quintetto di Ankara è riuscito, si direbbe abilmente, ad elaborare un sound piuttosto atipico, quindi rappresentativo di un disegno preciso, dai tratti decisi, che, durante gli ascolti, rimanda a una e una sola band.

E, a proposito di ascolti, ne occorrono parecchi per scivolare con naturalezza fra le spire di un progetto caleidoscopico, ricco, anzi molto ricco di elementi presi qua e là da altre specie di metal estremo.

L’umore è cupo, ma dopo questa premessa non poteva che essere altrimenti. Oltre che cupo, tenebroso, gelido, contrariato dall’esistenza della luce giacché porta in sé il seme dell’oscurità. Un rifiuto totale della fallace visione positiva, solare e colorata di un Mondo ricco di profeti che inneggiano a paradisi d’incommensurabile bellezza. Niente di tutto ciò: i Serpent Of Old albergano intanati da eoni nella loro buia e fredda grotta ubicata nelle più recondite e nascoste parti della crosta terrestre.

Peraltro, il loro tasso tecnico è di tutto rispetto, ideale per trasformare in note una miriade di frammenti rocciosi che si muovono rapidamente attorno a un centro gravitazionale che non è quello solare. Difficile trovare, difatti, ripetizioni o iterazioni di cliché consolidati, nell’LP. Non esiste un leitmotiv, cioè, poiché il dinamismo compositivo sfugge a ogni catalogazione. Le canzoni, di lunga durata, sono pregne di passaggi nascosti, celati dalla diffusa cacofonia che permea l’LP stesso. Una mobilità creativa tale da dar luogo a differenze sensibili fra un brano e l’altro. Il tutto, senza sfilacciature o perdite di aderenza dallo stile primigenio.

Abolita la melodia, regna la dissonanza. Una dissonanza frutto senz’altro di un lungo e meticoloso studio a tavolino o in sala prove che dir si voglia. Sono presenti alcuni cori raggelanti, paurosi nel loro rimando a creature o dei senza età né luogo. Il che aumenta la varietà di soluzioni trovate per rendere il platter il più possibile aderente alla teoria dell’act transcontinentale. Teoria della paura, dell’inquietudine, del disfacimento delle membrane timpaniche quando erutta a tutta forza la lava nera eiettata in superficie dalla sterminata potenza dei blast-beats di Kerem Kaan, per dirne una.

“Ensemble Under the Dark Sun” è un’opera complicata, di difficile assimilazione, che richiede – per essere apprezzata in toto – una rilevante capacità di concentrazione ed estraneazione dalla realtà. Guai ad approcciarlo approssimativamente: si resisterebbe ben poco alla pressione psicologica espressa a parole con la voce rauca e riarsa del ridetto Gürbüz.

Rifuggendo da pruriti elitari, si può affermare in estrema sintesi che “Ensemble Under the Dark Sun” sia un manufatto alla portata di pochi. Di coloro che non si spaventano di fronte a niente, di coloro che amano alla follia il blackened death metal più disarmonico che ci sia, o quasi.

Daniele “dani66” D’Adamo

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