Recensione: Enter The Gate
Dopo tre anni dall’ultimo lavoro targato Narnia, The Great Fall, giunge alle stampe il quinto capitolo della carriera di questa interessante white metal band svedese, capitanata da quel Christian Rivel che abbiamo avuto modo di apprezzare in numerose bands parallele (Audiovision, Divinefire, Wisdom Call, Flagship). A testimonianza dell’assoluta e convinta devozione di Rivel alla scena cristiana è il fatto che egli è proprietario della Rivel Records, etichetta certamente non tra le più potenti e visibili, specializzata nella produzione di bands che operano in un settore spesso erroneamente considerato elitario e non completamente aderente ad un genere musicale qual è quello metal. Oltre al già citato Rivel, fanno parte dei Narnia anche il virtuoso chitarrista Carljohan Grimmark, il bassista Adreas Olsson ed il batterista Andreas Johansson. Tutta la band, comunque, dimostra una notevole capacità esecutiva ed un gusto melodico che rende il songwriting accattivante e appetibile.
Con Enter The Gate i Narnia si apprestano ad irrompere sulla scena del metal melodico europeo con una forza coinvolgente ed una tensione emotiva sorprendente, segnando un punto decisivo verso la loro definitiva affermazione quale band di valore assoluto nel firmamento metal mondiale.
Per chi non avesse mai ascoltato questo gruppo possiamo anticipare che le coordinate stilistiche lungo le quali si sono mossi i capitoli precedenti sono da ricercare nel metal di stampo neoclassico, con frequenti divagazioni in ambito progressive ed hard rock pur mantenendo sempre una connotazione metal piuttosto definita, rintracciabile soprattutto nelle ritmiche affidate al valido Grimmark e nelle linee vocali ora melodiche, ora aggressive del buon Rivel. Anche in questo caso la cover raffigura il leone Aslan, come nei precedenti CD, e le liriche sono interamente dedicate alla decantazione delle gesta di Cristo.
Enter The Gate è, secondo il parere del recensore, l’album della definitiva consacrazione, un disco all’interno del quale tutte le componenti tipiche del melodic metal sono mirabilmente amalgamate, merito di una produzione coi fiocchi, dando vita ad un muro sonoro di forte impatto, quadrato, massiccio, granitico ma melodico, diretto ma evocativo. Si parte alla grande con Into the game, una traccia in mid tempo quadrata e massiccia, costruita su un riff portante granitico di Grimmark, arricchita da ottimi assoli dello stesso axeman, da linee vocali azzeccate e da partiture di tastiere che fungono da collante donando alla composizione una vaga venatura epicheggiante. Segue l’ottima People of the bloodred cross, a nostro avviso la migliore canzone del lotto: si tratta di una traccia power se vogliamo convenzionale, nel senso che i canonici stilemi della power song ci sono tutti, eppure l’atmosfera che si respira è assolutamente catchy, merito di un chorus epico notevolmente melodico e dalla forte presa live, per un pezzo molto diretto e dalla struttura veloce e pesante. Another world è leggermente più cadenzata rispetto alle tracce precedenti, anche qui le tastiere compiono un lavoro eccelso delineando melodie malinconiche, ottima poi la prova sia del bassista che del chitarrista (ascoltate l’assolo centrale, da brividi). Show all the world amalgama alla perfezione potenza metal e sperimentazioni AOR dando vita ad una traccia dinamica, incalzante, melodica, ariosa, ottimo esempio di come deve essere concepita una canzone metal che voglia strizzare l’occhio ad influenze più ricercate e curate. E’ il turno della titletrack e qui registriamo interessanti influenze progressive e neoclassiche, soprattutto nell’assolo di chitarra. Ottima la prestazione di Rivel, molto espressiva e anche teatrale, e la sezione ritmica nella quale il batterista si eleva sugli scudi offrendo una performance articolata e tecnicamente ineccepibile. Take me home pur non essendo una ballad in senso stretto, contribuisce a spezzare un po’ il ritmo: si respira un’aria malinconica a drammatica, in contrasto con l’atmosfera respirata fino a questo punto. Anche in questo caso magistrale prova del vocalist ben assecondato da tutti gli strumentisti, in particolare da Grimmark (sognante l’assolo centrale, da ascoltare ad occhi chiusi). This is my life ci riporta su coordinate a noi più consone: riff di chitarra grezzo ed aggressivo, chorus melodico ed epico, linee di basso opportunamente amplificate che scatenano l’headbanging senza nemmeno accorgercene. Ottima traccia. Aiming higher è forse il pezzo più anonimo dell’intero lotto; sebbene qualitativamente siamo di fronte ad una composizione ben curata, è l’appeal che latita (basta ascoltare il chorus, assolutamente insipido e frustrante). Per fortuna la band ha deciso di chiudere il disco con una suite di valore assoluto: The man from Nazareth. Nei quasi 9 minuti vengono narrate le tappe fondamentali della vita di Cristo, e l’aspetto musicale ben di amalgama con le liriche: I suoni sono più cupi e malinconici quando viene raccontata la crocifissione mentre risultano più aperti e positivi quando viene narrata la resurrezione. Siamo di fronte quindi ad una traccia varia, multiforme, evocativa, polifonica.
Crediamo di non esagerare nell’affermare che i Narnia sono finalmente giunti al lavoro della consacrazione, dando vita ad un prodotto arricchito delle diverse influenze che ciascun membro della band ha sperimentato negli anni passati, un lavoro maturo e ricercato, atmosferico ed avvolgente. Da avere.
Leonardo Arci
Tracklist:
1. Into the game
2. People of the bloodred cross
3. Another world
4. Show all the world
5. Enter the gate
6. Take me home
7. This is my life
8. Aiming higher
9. The man from Nazareth