Recensione: Enter The Killzone
Anima, dalla Germania.
Voce (Robert Horn) isterica, eccessiva, delirante; scream e growl in rapida successione.
Chitarre (Steven Holl e André Steinmann) che sfornano incessantemente riff su riff senza soluzione di continuità.
Basso (Justin Schüler) potente, preciso; dalle tonalità velatamente cupe.
Batteria (Benjamin Kühnemund) indemoniata, agile e tempestata da ipercinetici blast beats.
Tutto questo è deathcore?
Direi di si: la contaminazione di alcune caratteristiche peculiari del death con altre del thrash, a loro volta mischiate con l’hardcore di genìa punk, ha prodotto questo genere moderno; suonato spesso e volentieri da band formate da ragazzi la cui età è inversamente proporzionale all’abilità strumentale.
Musicisti, insomma, che pur essendo in bilico fra l’esser maggiorenni o meno, sono in possesso di un bagaglio tecnico di tutto rispetto.
Se però (anche) l’esperienza fa l’uomo, allora inevitabilmente qualcosa deve mancare all’appello. E questo qualcosa è la qualità del songwriting, spesso acerbo e mancante di quello spunto in grado di sollevare il gruppo dalla piatta mediocrità.
E, nemmeno a farlo apposta, è questo il caso del quintetto di Nordhausend che, con “Enter The Killzone”, approda al terzo album in studio di una carriera iniziata nel 2005.
C’è da rilevare che da oltre oceano il deathcore trova innumerevoli epigoni, impegnati a sfornare pile di CD.
Questa inflazione – unitamente al fatto che il genere si presta per natura a poche escursioni fuori pista – porta a una grande difficoltà nel farsi spazio nel convulso mare di proposte.
Se non si ha dalla propria un limpido talento compositivo.
Come più sopra specificato non emergono particolari spunti di originalità, neppure dopo che il laser ha compiuto parecchi passaggi sulle tracce.
Già l’apertura (“Intro”) non provoca sussulti sulla sedia, che non avvengono nemmeno con “Incarceration”, violentissimo coacervo di accordi, giri di basso, vocalizzi e aritmie che odorano di già sentito.
Non si discutono tiro ed energia: ce n’è da vendere, talmente sono debordanti e al limite di quanto possano produrre dei musicisti con l’attuale status della strumentazione elettrica.
Il thrash fa prepotentemente capolino in “Loner’s Refletion”, canzone nuovamente ipervitaminizzata: pur avendo una struttura più lineare – quindi meno affaticante – dell’opener, non convincono le parti con riff lentissimi e blast beats (ripetute in “The Omnipotent Torture King”). Poco dinamiche, innaturali.
Il mood di “Enter The Killzone” non cambia più: i brani si susseguono in maniera più o meno uniforme, tempestando il cervello con bordate di note e armoniche.
Degni di nota l’incipit e il riff portante di “The Man Eater”, così come “Black Night”, desueto intermezzo dal gusto cinematografico. Decisamente riuscita, invece, “XXXIII”. Inizio tenebroso e melodico, di ampio respiro, che viene travolto dalla furia cieca della strofa. Nel prosieguo il gruppo non si perde poi in arzigogoli, riuscendo a essere compatto e consistente nella costruzione del brano.
Troppo poco, alla chiusura dei conti.
La bravura strumentale dei teutonici non trova una valida controparte nella capacità compositiva: “Enter The Killzone” – pur fresco – è piatto, tedioso; inevitabilmente destinato a stancare rapidamente.
Solo per appassionati.
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Track-list:
1. Intro 0:50
2. Incarceration 3:19
3. Loner’s Reflection 3:44
4. Cu(n)t & Twist 3:15
5. The Man Eater 4:03
6. Carnage Provoked 2:54
7. Black Night 2:17
8. The Omnipotent Torture King 2:54
9. Welcome To Our Killzone 4:10
10. Necromantica 3:10
11. I Am Sick I Want To Kill 4:02
12. XXXIII 6:03
Line-up:
Robert Horn – Vocals
Justin Schüler – Bass
Steven Holl – Guitar
André Steinmann – Guitar
Benjamin Kühnemund – Drums