Recensione: Entrance to the Otherwhere
Rogga Johansson è un personaggio assai noto, in ambito underground. Svedese e non. Sia come componente delle più disparate band di metal estremo, fra le quali si citano Johansson & Speckmann, Megascavenger, Paganizer, Putrevore, Revolting, Ribspreader e The Grotesquery; sia quale autore di album in solitaria.
In tale veste ha realizzato due full-length, di cui l’ultimo è il presente, “Entrance to the Otherwhere”, oggi in uscita tramite l’attivissima etichetta specializzata Transcending Obscurity Records.
In entrambe le suddette situazioni, tuttavia, Johansson non ha mai brillato particolarmente, relegando tutto quanto realizzato in una piccola fetta del death metal abitata dai più fedeli appassionati del genere. Una fetta nell’ombra, più o meno. Forse, il fatto di prendere parte a così tanti progetti, davvero innumerevoli, non gli consente di trovare la giusta concentrazione per fissarsi su un qualcosa che possa emergere con decisione dalla marea nera che si agita sul globo terracqueo. Oppure, dedicare tempo e fatica a lavori solisti non sfocia in un’efficacia che buchi l’audience. In fondo, una band è composta di elementi che possono, ciascuno per le proprie capacità, contribuire alla causa in maniera positiva. Del resto, l’unione fa la forza.
Un primo elemento che induce a pensare che il buon Rogga abbia deciso di scaricarsi di qualche responsabilità è l’aver assegnato la batteria non a una fredda – e limitata nelle sue possibilità – drum-machine, bensì a Brynjar Helgetun, che svolge il ruolo di session-man con precisione, professionalità e… tocco umano. Un tocco che sicuramente porta calore e colore a un sound, come si sa, incentrato sul death metal classico.
E così è: “Entrance to the Otherwhere”, finalmente, possiede un suono potente, arrembante, aggressivo ma non troppo. Un suono perfettamente coincidente con tutti i dettami di base del metallo della morte. Un suono con un’anima, un sound con un cuore. E basta davvero poco per notarlo: è sufficiente affrontare l’opener-track ‘The Re-Emergers’ per gustare immediatamente i piaceri del death metal puro, incontaminato. Death che nulla c’entra con l’old school, death metal che diventa riferimento di uno stato dell’arte che, era ora, rende merito alla feroce determinazione di Johansson e al suo spirito di abnegazione.
In più, è presente, vivo, pulsante, un mood malinconico, triste, assai emotivo, ricco di sentimento. E, anche, un velo di melodia che inspessisce uno stile molto buono in tutti i suoi risvolti. Complice il capolavoro dell’artwork di copertina, il tutto si fonde in direzione di song piuttosto semplici nella loro costruzione ma intense, ricche di pathos, in certi momenti addirittura visionarie. Numerosi i cambi di tempo – senza mai sfiorare la follia dei blast-beats, numerosi gli inserimenti ambient atti, entrambi, a movimentare i singoli brani. Tutti irreprensibilmente legati a doppio filo a una foggia musicale abbastanza originale, aiutata in ciò dal roco growling di Rogga, mai esagerato, anzi sinuoso nel seguire gli andamenti degli accordi.
La melodia cui sì è più su accennato probabilmente è l’aspetto che meglio si incastra nel platter, svelando un’attitudine naturale alla composizione di tracce accattivanti e piacevoli da ascoltare; tracce che prendono forma a mano a mano che si succedono i passaggi. Sino ad arrivare alla stupenda title-track, abbellita da un leitmotiv che si stampa per sempre sulla parte interna della scatola cranica.
È chiaro che, per una questione di DNA, Johansson non passerà mai al melodic death metal ma, si può dire senza dubbi di sorta, che “Entrance to the Otherwhere” sia una buona opera di swedish death metal. Certo, nulla è stato inventato ma occorre premiare un songwriting che, finalmente, premia un artista che, forse, aveva bisogno di tempo o di un guizzo di genio per dare alla vita qualcosa di veramente interessante.
Promosso!
Daniele “dani66” D’Adamo