Recensione: Entropia
Il primo passo nell’intricato mondo del prog, il primo di una camminata decisa e sicura. Ecco l’album d’esordio per una delle più conosciute prog band attuali, diventati celebri per l’incredibile versatilità della voce del mastermind Daniel Gildenglow e per quell’incredibile velo di tristezza che avvolge dolcemente tutte le loro variegate composizioni. Altra caratteristica che contraddistingue questo gruppo è l’aver composto solamente concept album partoriti dalla malinconica mente di Daniel.
Entropia effettivamente si discosta lievemente dall’ideale di concept album visto che non presenta un collegamento tra le varie tracce ma si può comunque parlare di un unico concetto di fondo: il Chaos. Perché è proprio la confusione, l’irrazionalità, il così progressivo cambio di tempo che ci si presenta dinnanzi con l’opener ! (Forward). Si parte con l’aggressività di due esperte chitarre distorte e la testa già tenta di tenere il tempo, ma basta l’arrivo di una voce maledettamente emozionante e subito capiamo che ci saranno molte sorprese. In pochi istanti atmosfere ricche di tensione cedono il passo a parti più rilassate, ed ecco, dopo solo una manciata di secondi, torniamo a suoni più pesanti. La voce di Daniel sembra incastonarsi nella musica come un ulteriore strumento, esprime rabbia nelle parti più oscure, si libera in fugaci ma continui assoli, sempre pronta ad accompagnarci con quella sua rassicurante pazzia all’interno di questo viaggio musicale. Si prosegue con Welcome to Entropia una base elettronica cerca di distogliere l’attenzione dai rumori di una guerra in sottofondo, il tutto serve a prepararci alle mille sorprese di Winning a war; Parte veloce, sembra quasi scrollarsi di dosso la tensione accumulatasi con le precedenti tracce, ma la malinconia torna scivolando tra le dolci note di una chitarra che sembra voler cullare la teatrale voce di Gildenglow. Un padre che va in guerra lasciando il figlio con mille domande in quella sua piccola testa, la musica esprime proprio l’ansia del bambino, quell’incapacità di comprendere quello che sta accadendo. Si passa quindi a People Passing By, nove minuti di puro progressive, atmosfere cupe che si trasformano in parti rilassate per poi esplodere nella rabbia della voce di Daniel, davvero lodevole il lavoro del batterista Johan Langell, sempre presente con la sua incredibile tecnica, per non parlare delle magistrali chitarre suonate dal nostro Daniel e da D. Magdic, un grande duo messo in evidenza dall’incredibile intesa dei loro suoni. Purtroppo Magdic abbandonerà la band in seguito, ma verrà degnamente sostituito da Johan Hallgren, che non faticherà poi molto a entrare in sintonia con il resto dei componenti della band. E dopo un’emozionante assolo di chitarra ecco di nuovo la malinconia venirci incontro portata per mano ancora una volta da Gildenglow. Due dolci chitarre sembrano camminarle affianco mentre il piano di Hermansson ci delizia con fugaci note emozionate ed emozionanti. Un connubio di tristezza che vi avvolgerà silenziosa e dalla quale non riuscirete facilmente a fuggire. Ma a spezzare la malinconia ci penserà Stress, canzone particolarissima, direi che la parola migliore per descriverla è agitata. Gli strumenti sembrano impazzire, le tastiere diventeranno a tratti addirittura fastidiose. Qui il basso di Kristoffer Gildenglow, fratello di Daniel sembra avere il compito di stravolgerci e, credetemi, ci riuscirà benissimo! Si continua con Revival e rincontriamo le veloci chitarre dei nostri due axemen accompagnate dal preciso drumming in controtempo di Langell. La voce di Gildenglow si sposta su tonalità più basse, a tratti ci troviamo addirittura in presenza di un profondo Growl, ma come avrete ormai capito in questo album niente dura più di pochi intensi ed emozionanti istanti ed ecco allora un bel coro in stile “canti medievali”, tanto per lasciare ancora una volta l’ascoltatore impressionato dalle infinite sorprese che questo gruppo riesce a utilizzare per stupirci. Arrivati a questo punto ditemi, quanta malinconia riuscite a sentire nel lento assolo che apre Void of Her? E quanta maestosità evoca l’organo che chiude questa traccia cominciata proprio un attimo fa? Ecco ora To the End; comincia come una song veloce, rallentata dalle voci di Gildenglow e compagni che sembrano contendersi le parole del testo. Nei momenti in cui le voci sembrano concordare ecco che la musica sembra riprendere nuovamente la velocità iniziale, anzi la aumenta. Non stupitevi se nei momenti che seguono la canzone sembrerà divenire un laboratorio di sperimentazione, ricordate che la chiave di lettura di tutto ciò è il chaos! Circles è un altro piccolo intramezzo, neppure un minuto, ma questo tempo basta al basso di Kristoffer per farci capire che stiamo addentrandoci ancor più in profondità in questo viaggio. Ed ecco la cupa Nightmist, dominata da una voce tremante che seppur impaurita si avvia sempre a testa alta verso i mille passaggi di questa follia tentando di emergere solamente nel breve ritornello. Questa volta però non sarà la voce a cambiare il binario che la musica seguirà nel proseguimento del pezzo, ma bensì il basso di Kristoffer il quale spezza la tensione con una pioggia di note spumeggianti che sembrano ridestare tutti gli altri per far così esplodere una serie di assoli mozzafiato. Infine assistiamo al risveglio della voce di Daniel che da qui in poi sembrerà più viva rispetto a quanto sentito nella prima parte di questa Nightmist. Ci avviamo alla fine e le magiche note di un piano ci danno il benvenuto in Plains of Down dove la voce di Daniel si fa leggera mentre i fidi compagni le ricamano attorno tonalità diverse che sembrano intersecarsi come per magia. Un’unica voce ricca di emozione, ecco cosa riescono a creare i nostri, come un corpo unico è in fondo la loro musica. Un assolo di acustica non fa altro che impreziosire la composizione e nuovamente queste voci così esperte tornano a trovarci con la loro dolce malinconia. Il finale è tutto da scoprire, le voci lasciano il campo libero per gli strumenti, che in un ultima esibizione di tecnica e melodia ci meravigliano ancora una volta. Ed eccoci alla fine, la voce che fino ad ora ci ha emozionati sembra volerci così congedare da questo mondo e con Leaving Entropia i Pain of Salvation siglano la conclusione del loro primo album.
Ecco qua Entropia! Un concentrato di idee in alcuni tratti forse troppo denso, forse troppa sperimentazione che irrompe complicando più del dovuto alcune tracce, ma parliamo sempre di canzoni di incredibile impatto emotivo. Per concludere vorrei chiedere a coloro che dicono che nella musica prog si avverte “la mancanza del vero sentire” se ve la sentireste di affermare ciò di fronte a questi così abili burattinai dei sentimenti?
Tracklist:
1) ! (Forward) (06:11)
2) Welcome to Entropia (01:22)
3) Winning a War (06:32)
4) People Passing By (09:07)
5) Oblivion Ocean (04:42)
6) Stress (05:00)
7) Revival (07:38)
8) Void of Her (01:46)
9) To the End (04:56)
10) Circles (00:55)
11) Nightmist (06:48)
12) Plains of Down (07:23)
13) Leaving Entropia (epilogue) (02:31)