Recensione: EOS
Ci sono domande a cui è impossibile dare risposte. Ci hanno provato filosofi, scienziati, studiosi e sono le stesse domande che ognuno di noi tiene nel proprio subconscio sperando prima o poi di trovare soluzione… o eterna attesa. Dove sono gli inizi dell’essere umano? Cos’è veramente la libertà? C’è qualcosa dopo la morte? Siamo davvero soli nell’universo? Cosa manca agli Eldritch? Le prime domande mettetele nel retrocranio, probabilmente resteranno insolute, per l’ultima invece proviamo ad analizzare tutto quello che sappiamo e che conosciamo di questa (grande) band italiana.
Il primo demo risale al 1991 (31 anni fa) poi altro demo nel 1993 per traguardare alla prima release che esce nel 1995 dal titolo Seeds of Rage. La proposta è sempre stata la stessa, un portentoso Power Prog di cui noi italiani siamo tra i migliori interpreti mondiali (basti citare Labyrinth, Secret Sphere, Rhapsody of Fire, DGM, Vision Divine, Kingcrow e potrei continuare). EOS è il dodicesimo album in studio e della band iniziale sono rimasti i soli Holler e Simone che si sono comunque circondati sempre di grandi professionisti; ormai la band è in pianta stabile dal 2011 andando quindi a consolidare ancora di più la compattezza e la sicurezza nei propri mezzi e nella proposta musicale. EOS inoltre vede il gradito ritorno in formazione del tastierista Oleg Smirnoff, già nella band dagli esordi sino al 1999. Poco fa abbiamo scritto che la proposta nei 30 anni è rimasta sempre immutata, in realtà non è propriamente esatto; nel 2001 gli Eldritch danno alle stampe Reverse, album che suscitò molto malumore tra i fan perché pesantemente contaminato dall’elettronica di fine anni ‘90, con spruzzate Thrash come tributo a Phil Anselmo e soci. Vi chiedo però di ascoltate oggi Reverse… ve ne prego, solo così potrete capire che album unico e irripetibile diedero alla luce i nostri (ma d’altronde nessuno è profeta in patria, vero?) Ma torniamo ad oggi: con alle spalle solo ottimi album gli Eldritch ci fanno dono della loro ultima fatica: EOS.
La struttura del disco è classicissima: una breve intro, 10 brani tra cui l’immancabile ballad e una cover a chiudere il disco (sulla cover ci torneremo più avanti). Il viaggio di EOS è introdotto da “Failure of Faith” dove la band mette subito le cose in chiaro sulla direzione che intraprenderemo nel viaggio sonoro fatto di potenza e melodia. “The Cry of a Nation” e la seguente “Circles” rappresentano il biglietto da visita del disco essendo in ordine il primo e secondo singolo pubblicati dagli Eldritch, dove i nostri accarezzano con la melodia e sferrano pugni in pieno stomaco da lasciare senza fiato. Ci sono momenti anche più “pesanti” rappresentati ad esempio dalla successiva “No Obscurity” dove il titolo raffigura esattamente l’antitesi della proposta musicale che rimane in realtà oscura e lenta nel suo progredire. “Sunken Dreams” parte più petrucciana che mai e nei suoi 11 minuti rappresenta la sublimazione dell’essenza degli Eldritch nonché la cartina tornasole della loro grande capacità compositiva e realizzativa (intorno al quinto minuto potrete anche gustare una deliziosa regressione progressive anni ’70). La successiva “Fear Me” nonostante duri “solo” 6 minuti e mezzo riesce ad essere particolarmente complessa ed elaborata. Brano roccioso che rimane in testa con il suo refrain melodico e diretto (sì, esatto, molto Fates Warning). “I Can’t Believe It” è la ballad onnipresente che spezza il ritmo serrato del platter. Un pezzo struggente, intenso e malinconico ma che nel refrain lascia troppo una sensazione di déjà-vu difficili da ricondurre all’origine (probabilmente residui di sonorità targate Kamelot). Con “The Awful Closure” ritornano gli Eldritch bastone e carota che miscelano pesantissimi riff a melodie luminose che rimangono impresse nella pellicola della nostra corteccia cerebrale. E poi c’è “EOS”, brano che dà uno strappo alle regole e si discosta dal resto delle composizioni rimanendo tuttavia coeso e coerente nella totalità della proposta. La musica è meno pompata ma non per questo meno potente, c’è melodia ma è velata da un sottile strato di malinconia, c’è complessità ma anche musica che arriva diretta. Davvero un ottimo brano come tutto il disco del resto. Per l’ultima canzone, non so voi, ma facciamo davvero fatica a capire la necessità di inserire questo tipo di soluzione. Cosa rappresenta, un esercizio di stile? Un omaggio a qualcuno che stimiamo? È solo un riempitivo o sono di completamento? Sta di fatto che personalmente non ho alcun beneficio nell’ascoltare cover oltretutto realizzate pedissequamente all’originale dei Bon Jovi. Ma rimane ovviamente un mio modestissimo parere.
Torniamo semmai alla domanda esistenziale di inizio recensione ovvero: Cosa manca agli Eldritch? Se esaminiamo il disco e più ad ampio spettro tutta la loro carriera direi senza ombra di dubbio: nulla! Hanno capacità e doti seconde a pochi e una freschezza compositiva che li rende sempre attuali e mai ridondanti. Forse una cosa gli manca davvero: un bel colpo di fortuna! Cosa che altri hanno avuto forse anche troppo e in modo immeritato. EOS rimane un gran bel disco, l’ennesimo che si aggiunge ad una carriera rifulgente anche se per pochi veri intenditori. E noi ce li godiamo.