Recensione: Epidemic of Violence

Di Andrea Bacigalupo - 17 Maggio 2020 - 15:13

Siamo nel 1992, le fiamme che alimentano le fucine infernali del Thrash Metal si stanno affievolendo, soffocate dall’arrivo di generi ritenuti da molti fans più interessanti, quali il Grunge dei Nirvana e l’Alternative dei Faith No More, ed anche a causa di una certa arrendevolezza da parte delle band portabandiera del genere (è l’anno in cui escono ‘The Ritual’ dei Testament e ‘Countdown to Extinction’ dei Megadeth, dalle trame più ‘commerciali’, ed anche di ‘Renewall’ dei Kreator, influenzato dal movimento Nu Metal e dall’Industrial).

C’è chi dà la colpa alla pubblicazione, nell’anno prima, di ‘Metallica’, il Black Album dei Quattro Cavalieri, accusati di aver dato fuoco alle polveri e di averlo poi smorzato con quest’album dalle sonorità più progressive che feroci.

Forse, e dico forse perché non sono un sociologo, musicologo, tuttologo od opinionista (come si autodefinisce, oggi, chi pensa di sapere tutto), ma posso basarmi solo sulla mia esperienza dell’epoca, rivista con gli occhi di un adulto rimasto fan di questo strabiliante genere nonostante tutto, la colpa è da ricondurre ad una serie di fattori.

Il Thrash aveva detto tanto e come genere aveva evidenziato alcune limitazioni nel songwriting, peraltro visibili ancora oggi. La vena artistica di alcuni si andava esaurendo, essere sempre al top non è facile.

Per altri il nemico è stato lo scorrere del tempo: stavano crescendo, diventando adulti: la naturale incazzatura ribelle che ci pervade da ragazzi, quella che consente al mondo di cambiare, si stava naturalmente attenuando, con una consequenziale necessità di esplorare altri territori.

Il fan, colui che compra gli album, era saturo di tanta cattiveria sparata a mitraglia ed anche lui stava crescendo: stili diversi, che solo qualche anno prima sarebbero stati messi in un angolo, sonorità più duttili, anche se più articolate e ricercate e comunque pesanti, hanno cominciato a catturare il suo interesse.

D’altronde, anche lo stesso Heavy Metal stava acquisendo nuove identità affascinanti ed ammalianti: il 1992 è l’anno dei Dream Theater e del loro progressive Metal con ‘Images and World’, della svolta dei Blind Guardian ed il loro Power con ‘Somewhere to Beyond’, inoltre la rabbia veniva manifestata per mezzo di un nuovo genere: il Groove Metal dei Pantera di ‘Vulgar Display of Power’, detto anche Post-Thrash, quasi a rimarcarne la capitolazione.

Senza contare che la fetta del pubblico più intransigente si era spostata verso le sonorità più estreme del Death Metal, detto genere ‘di nicchia’ ma con sempre più seguaci.

Il resto lo hanno fatto le etichette o case discografiche che siano: vuoi mangiare … ti adegui!

Sicuramente non si può dare l’intera responsabilità al Black Album, per quanto influenti possano essere stati i Metallica.

Questo è il mio pensiero. Quello che è certo è che non tutti si sono piegati, tra le fiamme quasi spente alcuni tizzoni ardevano ancora: lo zoccolo duro, quelli che non si arrendono, gli anticonformisti.

Tra loro i newyorkesi Demolition Hammer, nati nel 1986 e con all’attivo il più che valido ‘Tortured Existence’ dato alle stampe nel 1990.

Nel 1992 è la volta del loro secondo album: ‘Epidemic of Violence’, messo in circolazione dalla Century Media Records.

Il platter è dannatamente compatto e violento: quaranta minuti circa di fuoco liquido tirato addosso a secchiate. Nessuna pausa, nessun cedimento, nessun esperimento; solo Thrash genuino e feroce, senza compromessi, con, al limite, uno sguardo volto al lavoro di Chuck Schuldiner, non certo a quello di Mike Patton (senza nulla togliere a questo grande artista).

Voce caustica e luciferina quella di Steve Reynolds, cattiva come l’aglio, ritmiche serrate ed impenetrabili ed assoli tirati e lancinanti da parte delle due asce James Reilly e Derek Sykes ed una batteria devastante quella di Vinny Daze, artista purtroppo mancato nel 1996 per avvelenamento da pesce palla (il destino sa essere tremendamente infausto e beffardo a volte …) ; i Demolition Hammer di ‘Epidemic of Violence’ sono un quartetto coeso, deciso a dare il meglio di se con la chiara intenzione di voler alzare l’asticella rispetto alla produzione precedente … altro che ammorbidirsi, incidendo su supporto magnetico otto songs, più una breve strumentale, ad alto numero di ottani.

L’album parte immediato, senza intro dall’andatura epica od arpeggi nostalgici. ‘Skull Fracturing Nightmare’ sono bastonate a rapida sequenza, veloce e diretta senza compromessi, con cambi di tempo malignamente cadenzati che inchiodano.

La doppia cassa di ‘Human Dissection’ martoria l’anima. Il brano scaturisce dagli inferi con il suo incedere cadenzato ma inarrestabile ed i suoi cori malvagi fino ad un’ accelerazione spasmodica e feroce. E’ un assalto continuo da parte di un esercito invincibile.

Assalto all’arma bianca che continua con la feroce ‘Pyroclastic Annihilation’, dalla tessitura impenetrabile; anche qui i passaggi tra cadenza e velocità sono mazzate sonore che lasciano senza fiato, lo scambio di assoli è letale quanto lo scatto di un crotalo.

I Demolition Hammer non ci stanno proprio, non fanno parte dei più. Segue ‘Envenomed’, ferocissima e velocissima, dimostra che Exodus e Slayer sono stati buoni maestri.

Carnivorous Obsession’ è marziale, pestata e durissima dall’andatura spietata. I superstiti sul campo sono sempre meno.

Una brevissima strumentale inferiore al minuto, ‘Orgy of Destruction’, che non interrompe l’assalto sonoro, porta alla Title-Track. ‘Epidemic of Violence’ stacca le ragnatele dai muri, con il suo tiro demoniaco ed incessante, con una doppia cassa per l’ennesima volta protagonista.

Omnivore’ e la conclusiva ‘Aborticide’ sono ancora più feroci ed istintive, il muro sonoro costruito da una ritmica veloce e spasmodica è impenetrabile. Lo schianto è inevitabile.

Epidemic of Violence’ è un lavoro dalla tessitura ‘semplice’ ma efficace, basato su quanto già fatto negli anni prima da un sacco di musicisti Thrash, ma diventato fondamentale proprio perché, in un periodo dove tutto sembrava finito, è stato uno degli anelli della catena che ha mantenuto unito il vecchio movimento, quello che oggi chiamiamo Old School, con l’ondata di rinascita del nuovo millennio.

Se oggi i nostri timpani sono messi ancora a dura prova dal fragore del Thrash Metal lo si deve anche ad artisti come i Demolition Hammer, che hanno tenuta viva la tempesta ed il fragore del tuono in mezzo alla calma.

Dopo ‘Epidemic of Violence’ la band ha pubblicato ‘Time bomb’ nel 1994 per poi sciogliersi l’anno dopo.

E’ tornata nel 2008 con Angel Cotte (Them) dietro le pelli; da allora ha calcato diversi palchi senza pubblicare lavori inediti. Un nuovo lavoro non sarebbe male però … aspettiamo.

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