Recensione: Epoch
I Copia sono originari dell’Australia ma sono di casa anche in Germania per via di una strana carriera che li vede saltellare fra il continente australe e l’Europa.
Circostanza, questa, che sicuramente favorisce il fondersi di culture diverse e, quindi, di gusti musicali altrettanto diversi. Tant’è che lo stile di “Epoch”, secondo full-length nella carriera dei Nostri, risponde sì all’appello quando si pronuncia melodic metalcore ma… a modo tutto suo. Se il genere al momento è ricchissimo d’interpreti, principalmente inglesi, tedeschi e statunitensi, non è detto che si riesca comunque a tirar fuori dal cilindro qualcosa di fresco.
E, freschi, i Copia lo sono. Sia nel sound, scoppiettante e rispondente ai dettami del più moderno dei metalcore stessi, sia nel songwriting, presentante le medesime caratteristiche esplosive. Esplosive da intendersi, più che nella potenza di un suono comunque robusto e possente, nell’energia che fonda la base attitudinale di un carattere forte e deciso. Risoluto. Ben conscio delle proprie peculiarità e ben determinato a metterle in pratica.
Così, “Epoch”, trascinato dalla superlativa prestazione vocale di Andrew Bishop, piena di scabrezza e ammantata da quel calore tipico delle corde vocali disegnate dalla provenienza etnica, è allo tempo un pot-pourri di suoni e canzoni dipinte da mille colori, un macigno compatto e inscalfibile dall’impatto non indifferente. Ci sono i breakdown, come deve essere, ma non sono invasivi seppure poderosi. Ci sono i cori, anche in questo caso come deve essere, ma stavolta superbi.
I cori sono una delle caratteristiche di base del melodic metalcore. Forse, la più evidente, la più catturabile dall’apparato acustico poiché primigeni nel DNA dell’Uomo. Ebbene, i Copia lasciano intravedere un talento speciale, nel metterli su, nel comporli, nell’interpretarli. Come se ci fosse un collegamento diretto e invisibile, fra cuori e voci. Una peculiarità che, a parere di chi scrive, ha il suo fondamento nell’aria che si respira a Melbourne e dintorni. Nella terra natia, cioè. Terra anch’essa intrappolata in un’eterna discrasia fra le popolazioni autoctone e quelle importate. Che, però, in questo caso, genera qualcosa di diverso, qualcosa di unico. Passante fra brani dai refrain eccezionali (‘Karma’), brani dai riff riottosi (‘Resist, Resonate’), brani dai ritmi trasognanti (‘No Time’). Tutti permeati dal medesimo flavour, dallo stesso sapore.
“Epoch” è un lavoro in grado di giungere ovunque, se adeguatamente supportato. Certo non è semplice: i Copia devono insinuarsi a poco a poco, sotto la pelle. Non colpiscono immediatamente. Occorre un po’ di tempo affinché le loro melodie s’incarnino nelle membra. Una volta entrati, però, non escono più.
Un po’ come il mal d’Africa… senza di loro, terminato l’ascolto, sorge spontaneo un refolo di struggente nostalgia. Allora, non si può che compiere un’operazione. L’unica. Ricominciare daccapo… da ‘Broken Bones’.
Daniele “dani66” D’Adamo