Recensione: Eremita Del Fuoco
Forti di quel capolavoro che era Echi (2012) e dell’ultimo EP Fulgida Reminiscenza (2014), tornano con un nuovo full length i mantovani Blaze of Sorrow, composti da Peter (testi, voce, chitarra, basso, synth) e da N. (batteria e tromba). La band si è dimostrata, in questi ultimi anni, una delle promesse più interessanti e qualitativamente rilevanti della nostra penisola nell’ambito del black metal atmosferico.
Se Echi era un album lungo e cupo, a tratti lento e con una presenza folk acustica capillare e pervasiva, Eremita Del Fuoco cambia leggermente le carte in tavola e si presenta più breve, compatto e stilisticamente assai uniforme. Sono chitarre elettriche, basso e batteria a guidare le danze, valorizzate a dovere da una produzione pulita e profonda; quello a cui danno vita è un black caldo e pastoso, di una malinconia solare, simile a quanto si otterrebbe mescolando Agalloch e Nocte Obducta e trapiantandoli a sud delle Alpi. Il tutto è dominato da una certa raffinatezza, eleganza e senso della sfumatura. Le chitarre acustiche sono limitate a zone ben circoscritte (Epitaffio di luna, I quattro volti), mentre sono gli arpeggi di chitarra elettrica che caratterizzano più a fondo l’album. Un che di prog lo conferiscono i frequenti e spesso repentini cambi di ritmo, sorretti e guidati in modo straordinariamente efficace da una batteria sempre fantasiosa.
Pochi, in 40 minuti di musica, i passaggi a vuoto; non c’è infatti brano che non riesca, in un modo o nell’altro, a stupire o a catturare l’attenzione. In La conquista del cielo l’ascoltatore è avvolto dall’atmosfera nebbiosa creata dal tappeto di tromba di N. e dai calmi arpeggi di Peter; La madre è il pezzo più diretto dell’album, la batteria è robustissima e l’impennata finale è da brividi; la title-track sfoggia ottimi riff di matrice varia, indugiando con compiacimento in stupende aperture solari per poi oscurarsi; I quattro volti verrà apprezzata dai fan di lunga data della band in virtù della sua sezione acustica e della profonda malinconia già presente in Echi; Il passo del titano sfoggia un drumming coinvolgente e a tratti davvero brillante, mentre la traccia conclusiva, interamente acustica, calma gli animi e congeda dolcemente l’ascoltatore.
Per quanto riguarda le liriche, rigorosamente in italiano, i Blaze of Sorrow temono pochi rivali sul suolo nazionale e anche in questo disco Peter si dimostra abile a dar voce a tutta la propria tensione introspettiva. La natura e il rapporto dell’uomo con essa sono il tema portante di questo disco come dei precedenti. Di brano in brano assistiamo ad un succedersi di figure misteriose e dai tratti mitologici, che mediano il rapporto dell’io con la natura in maniera sempre varia e affascinante.
Dopo svariati ascolti, non si può fare a meno di notare un fatto: Peter e N. fanno musica non perché siano attratti da un certo tipo di estetica, non perché vogliano, semplicemente, farla; ma perché non potrebbero non farne. La ricca interiorità dei due si trasforma infatti in musica in modo tanto complesso quanto naturale. Affidandosi unicamente al proprio istinto, i Blaze of Sorrow riescono così a tirar fuori un album che sfugge alle etichette, tanto che anche definirlo «black metal atmosferico» sarebbe una troppo grossolana approssimazione; ed è quando le etichette cominciano ad essere insufficienti, che in musica le cose si fanno interessanti. Eremita Del Fuoco è un album così: diretto e insieme complesso, solare e insieme malinconico. Un album intelligente, maturo, coraggioso e incredibilmente affascinante.
Francesco “Gabba” Gabaglio