Recensione: Eric the Red
Se pur il nord Europa è sempre stato gravido di band dall’ottimo potenziale, alcune della quali siedono oggi nell’Olimpo – o meglio, nel Valhalla – della musica ‘pesante’, non sono molte quelle che provengono dalle isole Far Oer. Ed è proprio dallo sperduto arcipelago a metà via tra Norvegia ed Islanda che questi quattro ragazzi vengono per offrirci la loro proposta fresca ed originale. Molteplici e quanto mai disparate le radici del loro sound. Tra di esse si riconoscono in primis le melodie accattivanti del folk locale e le costruzioni complesse dei Dream Theater, ma nondimeno si troveranno riferimenti più o meno vaghi all’heavy seminale dei Black Sabbath ed alla musica classica. Delle due l’una: da un calderone così ricco ed eterogeneo possono uscire solo un pastone troppo denso e assai poco digeribile, oppure una rara leccornia di alta cucina.
Fortunatamente, è quest’ultima l’ipotesi che dopo l’ascolto si rivela corretta. E’ infatti con insospettabile maestria che il gruppo si mostra perfettamente a suo agio nel condire le articolate strutture ritmiche tipiche del prog moderno con le più semplici ed immediate linee melodiche ereditate dalla tradizione musicale insulare. Non ci si stupisca dunque se ben quattro delle dieci tracce dell’album altro non sono che ri-arrangiamenti di motivi provenienti direttamente da canti popolari nordici. E se per Regin Smidur e Olavur Riddararòs è il folclore locale a donare alle canzoni il loro retrogusto montano, i Týr non esitano a pescare con decisione anche nel background musicale danese ed irlandese per incastonare nel loro repertorio due piccole gemme che rispondono ai nomi di Ramund Hin Unge, dal sapore solenne e leggendario, e The Wild Rover, ideale sottofondo per una serata in birreria. Menzione a parte per la quinta traccia, Styrisvolurin, in cui Heri Joensen, cantante e chitarrista, sfrutta la tradizione come trampolino di lancio per dar libero sfogo alla propria creatività: il risultato è una song affascinante e d’atmosfera, che aspetta solo il coinvolgente refrain per abbandonarsi ad un pregevole stacco acustico ben condotto dalla voce corposa e mai forzata dello stesso Joensen, seguito da un assolo di chitarra preciso ed ispirato. Forse qualcuno dei lettori a questo punto si chiederà se il talento compositivo dei nostri sia pari alla loro tecnica, o se invece l’adagiarsi sul comodo letto della musica popolare non sia altro che uno stratagemma per mascherare un’intrinseca povertà in fase di songwriting. A costoro suggerisco l’ascolto di The Edge, disponibile direttamente sul sito della band: potranno così verificare di persona che Joensen è abile nel comporre almeno quanto lo è nell’arrangiare. Anzi, a suo favore depone proprio l’abilità dimostrata nell’amalgamare con l’ossatura folk del disco, fino a renderle indiscernibili le une dalle altre, le proprie composizioni originali, tra le quali spiccano senz’altro la maestosa Dreams e la title track. In quest’ultima in particolare si riconosce con più evidenza la matrice prog della band, nonché la padronanza tecnica, comunque mai fine a se stessa, che ognuno dei membri della band ha del proprio strumento. Ciò fa sì che il combo faroese, giunto con questa alla seconda release ufficiale, al di là delle diverse influenze, riesca a sviluppare una personalità propria e ben definita: premessa fondamentale per avere un futuro in un genere, quello del metal, in cui troppo spesso si incontrano gruppi che sono la copia-carbone di formazioni più conosciute e popolari.
In conclusione, possiamo affermare di essere di fronte ad una delle realtà più promettenti ed innovative del panorama metal attuale, dotata di maturità ed idee in abbondanza. Ottimo lavoro, e se siete amanti del folk (in questo caso potreste essere interesssati a reperire la traduzione dei testi), aggiungete pure una decina di punti alla valutazione.
Tracklist:
1 – The Edge
2 – Regin Smidur
3 – Dreams
4 – The Wild Rover
5 – Styrisvolurin
6 – Olavur Riddararos
7 – Rainbow Warrior
8 – Ramund Hin Unge
9 – Alive
10 – Eric the Red