Recensione: Esoteria
Con questo “Esoteria“ i norvegesi Fatal Impact confezionano il secondo capitolo della propria discografia, iniziata nel 2008 con l’album “Law Of Repulsion“.
A ben quattro anni dall’esordio (addirittura diciotto dalla data di formazione) i nostri dimostrano di essere sicuri dei propri mezzi, presentando un album ben suonato ed arricchito da una buona produzione in grado di evidenziarne al meglio la qualità sonora.
Tuttavia, nonostante le ottime premesse, il lavoro proposto dai Fatal Impact si presenta come un affresco di oscuro Heavy Power opaco e noioso incentrato su una serie di canzoni spesso anonime e poco incisive che rischiano, in larga parte, di far affogare questa seconda fatica in un plumbeo e profondo baratro.
Il gruppo affida l’apertura dell’opera alla breve e strumentale Title Track, una composizione quasi esclusivamente tastieristica che purtroppo, a dire il vero, risulta essere piuttosto anonima ed inutile ai fini di un album che tenta di risorgere dalle tenebre grazie alla successiva “A New Era“, cupa, potente anche se non particolarmente esaltante, ma comunque capace di strappare l’attenzione dell’ascoltatore grazie ad un refrain azzeccato e piacevole.
Malauguratamente, nonostante gli sforzi il combo norvegese non riesce a far decollare il disco che con la seguente e tediosissima “Where The Alders Grow“, scivola verso lande gelide ed inespressive dal quale si risolleverà debolmente, solo grazie alla successiva “Silent December“, episodio che proprio come la già menzionata “A New Era“, deve tutto al buon ritornello molto orecchiabile.
I barlumi di ripresa si rivelano effimeri: già la seguente “End Of Time Theater“ non riesce a mantenerne le coordinate, rivelandosi innocua, inefficace e dominata da una serie di melodie vocali del tutto inespressive e monotone.
Successivamente il gruppo tenta di ispessire il proprio sound, sfoggiando una serie di riff corposi che tuttavia non riescono a far emergere con successo la seguente “The Blind Mans Eye“, ancora contraddistinta da linee vocali spente e soporifere.
Nonostante qualche sporadico accenno melodico interessante, anche il resto dell’opera si muove su livelli mediocri, come dimostrano canzoni quali “The Arrival“, “A view To Hell“ e “Under The Stars“, mentre sembra tornare una debole speranza nella potente “The Final Solace“.
Dopo quest’ultima parentesi positiva, purtroppo il gruppo perde ancora una volta la retta via con le poco esaltanti “Verity Of Splendor“ e “Funeral“, tracce che chiudono un album tecnicamente ben realizzato, ma caratterizzato da poche idee e tante lacune.
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