Recensione: Esperalem Tkane
Odraza, cioè disgusto.
Un moniker che fa il paio con una copertina disgustosa, per l’appunto, per tracciare lo spirito che anima “Esperalem Tkane”, debut-album del duo Stawrogin/Priest che, con il progetto Odraza, corre parallelamente alla strada dei Massemord, di cui fa parte integrante e sostanziale. Spirito che, in ottemperanza ai dettami filosofici del genere suonato, il black metal, rifugge con decisione dagli uomini e dalla loro malsana quanto ipocrita società.
Il fatto che la band sia nata nel 2006 e che solo dopo otto anni sia giunta a pubblicare la propria Opera Prima non deve per nulla ingannare: Stawrogin e Priest, infatti, sono dei musicisti eccezionali, degni di rappresentare la Polonia intesa come culla del miglior metal estremo moderno come qualità e quantità, assieme naturalmente a quello statunitense. Un’altra degna dimostrazione, in poche parole, dell’incredibile versatilità e poliedricità degli artisti polacchi. Capaci di passare da un disegno all’altro con sorprendente naturalezza, evitando di mischiare le carte ma anzi iniettando a ogni formazione identità e personalità autonome, indipendenti.
Nella fattispecie, gli Odraza suonano raw black metal, in apparenza nudo e crudo ma nella sostanza irrobustito dall’inserimento estranei al metal come il blues nonché pervaso da un raffinato senso melodico, ovviamente lontano dai modelli sinfonici cui si è forse abusato negli ultimi lustri tuttavia parimenti efficace anche se meno appariscente. Una rarefazione stilistica, questa, che non esime il duo di Cracovia dall’obbligo di pestare duro, quando occorre, e di fare pure male. Vedasi, al proposito, la mazzata sui denti intitolata “Wielki Mizogin”, talmente secca e violenta da avvicinarsi parecchio all’hardcore.
È però con i brani più lunghi e articolati che gli Odraza danno il meglio di sé, come nella suite “Esperalem Tkany”, che esplora in lungo e in largo tutte le possibilità stilistiche della band medesima. Capace di alternare veementi assalti all’arma bianca a intermezzi bluesggianti, come più su accennato. Saltando idealmente dalle gelide e buie foreste mitteleuropee alle calde e assolate lande degli Stati Uniti meridionali, intercalando echi slide a furibondi blast-beats. Senza discrasie, nel rispetto quindi di una continuità timbrica e di una coerenza mentale ineccepibili.
Peculiarità che non sono un caso ma che, al contrario, sono ben radicate nel modus operandi dei Nostri, così come evidenza l’aspra “Gorycz”. In alcuni tratti vertiginosamente attratta dal centro gravitazionale del black metal, ove il numero di BPM raggiunge valori da trance assoluta. In altri percorrente luoghi indefinitamente lontani, scanditi dal suono ipnotico di un’armonica a bocca che impasta la saliva di sabbia rovente. E, poi, ancora devastazione, con “Próg” che, paradossalmente, accanto alla furia più cieca, trova dei ritagli armonici di notevole classe e raffinatezza. Unitamente a alla parte finale, ove Priest dà prova della sua completezza di batterista. Roba per palati fini, insomma.
Per questi motivi, “Esperalem Tkane” è un lavoro che può essere digerito da un insieme eterogeneo di appassionati: dagli intransigenti del black a quelli che del black stesso apprezzano le infinite possibilità di fusione con altre realtà musicali, non necessariamente metalliche.
Daniele “dani66” D’Adamo