Recensione: Eternity
Non so voi ma, personalmente, quando mi accingo all’ascolto di un disco AOR dal taglio fortissimamente retrò, l’obiettivo è quello di chiudere gli occhi e cominciare a sognare. E in particolare sognare gli U.S.A. degli sfavillanti anni ’80, le tipiche bellezze d’oltreoceano e le decappottabili di grossa cilindrata a bordo delle quali sfrecciare sulle mitiche highway col vento tra i capelli (rigorosamente cotonati).
Gli Alien non sono americani bensì svedesi (e sono peraltro al rientro sulle scene a ben nove anni di distanza dall’ultimo “Dark Eyes”), eppure la loro musica zuccherina e ipermelodica funziona meglio della DeLorean di Ritorno al Futuro e riesce perfettamente nell’impresa di riportarci indietro nel tempo di una trentina d’anni.
Gran parte del merito va certamente alla splendida voce di Jim Jidhed, già visto in azione lo scorso anno nell’all-star project Heartbreak Radio e ormai ritornato titolare del microfono dopo una “pausa” durata ben diciassette anni. Non da meno, ad ogni modo, il contributo dato dal rovente guitar work ad opera di Tony Borg e dalle preziose rifiniture di tastiera di Jimmy Vandroph: elementi assolutamente indispensabili nell’economia di un sound melodico eppur “spaziale”, proprio come suggerito dall’elegante copertina.
Entrando nello specifico delle dodici canzoni proposte in “Eternity”, vale la pena rimarcare la loro fortissima aderenza complessiva ai canoni appena descritti così come il livello medio piuttosto elevato del songwriting. Certo, alcuni pezzi sono migliori di altri; ciò nonostante l’album risulta molto compatto e coeso all’ascolto e anche quando il refrain principale non appare del tutto centrato (come nel caso di “Unbroken”) ci pensano assoli, arrangiamenti e prestazioni vocali monstre a tenere in piedi la baracca senza mostrare troppi segni di cedimento.
Tra le punte di diamante appare, inoltre, d’obbligo annoverare la bellissima ballad “I Believe”, la vivacissima “What Goes Up”, un po’ Fair Warning, la malinconica “Look At Us Now” e le siderali “Love Will Lead Me Home” e “Burning Heart”: tutti ottimi esempi di AOR cristallino e dai tratti talora epicheggianti, a metà strada tra Survivor, Journey, Player e addirittura Magnum.
Inutile aggiungere altro, se siete cultori della materia “Eternity” è evidentemente un album da non lasciarsi sfuggire; per tutti gli altri si tratta semplicemente di un buonissimo disco di rock melodico nello stile degli anni ’80, con tutti i pregi e i “difetti” del caso.
Stefano Burini
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