Recensione: Eucharismetal
E la storia riscrivila tu,
Tutto riparte da te!
(da “Salva l’anima”)
Il 2016 si è aperto in modo pirotecnico: dopo Rhapsody of Fire, Primal Fear, Avantasia, Serenity e Myrath, il power metal (italico) torna a colpire con il terzo studio album dei Metatrone, cui si addice l’epiteto di band di culto, in ogni senso… La band capitanata da padre Davide Bruno (quintessenza del tastierista metal, l’Andre Andersen d’Italia), dopo il sorprendente debutto del 2006, e il meno riuscito Paradigma, rilancia il proprio sound con un platter coeso che riflette la maturità ormai raggiunta dal gruppo siciliano.
Eucharismetal è un titolo pacchiano ma ficcante, basato sul verbo greco εùχαριστέω (ringraziare), letteralmente varrebbe “ringraziametal”. L’artwork viene di conseguenza, con un cristogramma calato in una cornice sci-fi: il vero pane di vita dei Metatrone, lo sappiamo, è il verbum Dei. Abbandonata l’idea, poco lungimirante, di proporre brani con testi solo in italiano, questa volta i temi affrontati vanno dal fanatismo religioso (anche cristiano), alle parabole evangeliche, passando per vere e proprie preghiere e refrain anthemici.
C’è di che essere curiosi, immergiamo, dunque, in un’ora di power metal dalle venature mistiche e con qualche contaminazione progressive, sempre ben accetta.
L’opener è un manifesto di potenza e sagacia, e affronta la spinosa questione dell’abuso su minori. Troviamo parti di oboe accostate a e suoni contemporanei, accoppiata vincente, mentre le ritmiche droppate dialogano con la fantasia dei pochi, ma ottimi, synth di padre Bruno, vero mattatore del gruppo. La voce in clean di Jo Lombardo è riconoscibilissima (volendo ricorda, solo vagamente, Alessio Garavello) e dona un’identità specifica al sound dei siciliani. Il titolo del pezzo si basa sullo spelling in aramaico del primo uomo: AD(A)M. “Molokai” inizia con dei grunts “danteschi”, prosegue con parti in slap di basso e testi in italiano. Bello il break sul finire del terzo minuto, con tanto di invocazione divina, mentre, per cattiveria messa in campo, sembra poi non così azzardato paragonare la canzone alla monolitica “Honor Thy Father” dei Dream Theater. Il finale è memorabile, con un acuto e ultime parole profetiche «Liberaci dalla lebbra».
Nessun secondo per rifiatare, “Beware the Sailor” è un’altra cavalcata metal. Brano più corto in scaletta, vive di doppia cassa, a metà tra thrash e power. Lombardo è sempre un filo sguaiato sugli acuti, ricorda un po’ Tobias Sammet da questo punto di vista, ma se la cava sui vibrati. “Wheat and Weeds” (grano e zizzania, potremmo tradurre) è un pezzo vicino allo speed metal degli Angra, con tanto di main theme ficcante e solare. Il drumwork di Salvo Grasso è duro e preciso, notevole l’affiatamento di tutti i membri del combo. La sezione solistica lascia decisamente appagati: dopo un assolo di tastiera, ne segue uno di chitarra e uno veloce di basso. Peccato per i grunt, in questo caso fuori luogo.
Ancora melodia e potenza per “Latest News from Light” (primo singolo estratto dal full-legth), che tratta della parabola del padre misericordioso. All’inizio del quarto minuto ascoltiamo dieci secondi esaltanti, un vero assolo al fulmicotone, che salva la traccia dall’anonimato. La seguente “In Spirit and Truth” sembra una ballad, considerato l’avvio semiacustico, poi, tuttavia, si rivela un brano anodino con qualche schiarita melodica e un bell’assolo di chitarra, ma nulla più. L’album sembra avviarsi verso una conclusione in calando. Sorprende, invece, l’ottima strumentale “Mozart’s Nightmare”, che rivaleggia con l’incubo di Paganini dei connazionali Secret Sphere e il miglior metal barocco. Ci aspetteremmo che gli “Stratovarius 2.0” componessero una nuova strumentale seguendo il dettato dei siciliani per recuperare i fasti del passato: tecnica, clavicembalo e creatività, miscela esplosiva!
Dopo “Keep running” – hit catchy con inserti di sax, cenni djent e padre Davide sempre sul pezzo – “Salva l’anima” presenta un intro a effeto e un buon refrain, che recita: «Troppa ignoranza, troppa violenza, decentramento del mio equilibrio». La sezione solistica non sbaglia un colpo e regala altri unisoni magnifici, laddove, al min. 4:02, Lombardo sfodera un acuto catartico. Tastiera simil Kevin Moore all’inizio di “Una parte di me”, pezzo più lungo in tracklist. Niente da segnalare, il sound resta invariato, forse il refrain poteva essere più incisivo per quanto riguarda i testi. Tutto finisce con l’ennesimo acuto.
Chicca finale “Regina Coeli”, da miglior tradizione metatronica, è l’omonima antifona mariana reinterpretata per le nuove generazioni. Dopo “Veni creator spiritus” e “Ave Maria”, siamo di fronte all’ennesima prova d’intelligenza dei siciliani. Una voce femminile lascia spazio a un coro solenne e a una voce che a metà brano scandisce le litanie lauretane. Un pezzo vibrante, con intrecci vocali e un tiro melodico ben studiati. Se venissero proposti sull’altare inni svecchiati in questo modo, non ho dubbi, il numero dei fedeli, soprattutto tra i giovani, leviterebbe esponenzialmente! Come bonus track troviamo le versioni in italiano di “Alef Dalet Mem” e “Keep Running” (rinominata “Lascia che sia”).
Eucharismetal è in definitiva un buon album power, mentre le connotazioni white metal danno più spessore ai testi. È, altresì, l’album dei Metatrone meglio prodotto a oggi; i suoi limiti restano una certa ripetitività della forma canzone e il fatto che bissare la sorprendere originalità di The powerful hand è assai difficile.
Diamo atto alla coerenza stilsitica dei Metatrone, il metal che compongono e suonano unisce i loro fan in una vera comunione spirituale.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)