Recensione: Event Horizon
Immaginate di prendere elementi dei primi Nightwish, Within Temptation, Guano Apes, un pizzico di metal core e una spolveratina di symphonic metal (senza le pomposità orchestrali). Amalgamate poi il tutto con una sezione ritmica granitica e precisa, una chitarra intelligente e ragionata, delle tastiere in perfetta sintonia con i vari elementi, una splendida voce femminile e una strepitosa voce maschile. Ora, fate suonare gli ingredienti in maniera impeccabile e presentate il tutto su un vassoio ricco di personalità.
Avete appena sfornato la quarta e ultima fatica dei triestini SinHeresY: Event Horizon.
Già, perché è proprio questo che il disco è. Mostra chiaramente la differenza tra il mero emulare i gruppi sopra citati e il nobile prenderne spunto.
L’album, in poco meno di 35 minuti, è un concentrato di tecnica, precisione, melodie e tempi spinti verso un muro da distruggere.
Nessuno di questi elementi la fa, però, spocchiosamente da padrone; è tutto al servizio di un songwriting raffinato. La voce di Stefano Sain alterna growl e cantato pulito, non inserendosi mai in maniera forzata ma seguendo il naturale evolversi del pezzo, mentre l’ugola della bravissima Cecilia Petrini dipinge scenari evanescenti e fiabeschi, quasi fosse un pennello intriso di emozioni ed epicità intimistica. La chitarra di Lorenzo Pasutto è un ponte diretto che va dalla mente al braccio, passando per il cuore, e che mette alla luce una serie di riff assolutamente personali, dimostrazione che è possibile appropriarsi di un canone e modificarlo chirurgicamente facendolo progredire. Unico neo, forse, il carattere degli assoli che, pur essendo eseguiti e scritti con palese maestria, risultano a volte un pochino fini a se stessi. Le dita di Davide Sportiello si muovono sugli elettronici tasti bianchi e neri con passo felpato, senza invadere lo spazio con suoni inutilmente dilatati ma regalando atmosfere ricche di cesellate note. Un piccolo appunto che mi sento di fare è rivolto al basso (suonato dallo stesso Sportiello). A differenza degli altri elementi, la parte ritmica a corde non emerge come il resto, ma si limita a essere una sorta di bordone che ben accompagna il terreno sul quale poggia il disco ma solo questo e nulla più. Le pelli vengono sapientemente fatte vibrare dal talentuoso e intelligente Gabriele Boz, il quale dimostra una padronanza assoluta nell’interpretare i vari momenti del disco, operando scelte (a volte quasi curiose, se si ascolta bene) che ben fanno capire che il suo ruolo non è solo quello di tenere il tempo.
Le danze si aprono con l’irruente “The Calling”, brano diretto che mette già le cose in chiaro con il suo ritmo incalzante. La seconda traccia “Black Spirit”, a mio avviso, è il vero masterpiece dell’album, con un ritornello a dir poco splendido e particolare. Si prosegue con “This Life You Left Behind”, “Castaways” e la meravigliosa “Brighter Days”, una mid tempo ariosa, quasi dal sapore di colonna sonora. La furiosa “(R)evolution” ci accompagna verso l’ultima parte del disco, seguita da “Forbidden Desire” (forse l’unico punto debole del platter). L’album si conclude con la triade “Event Horizon I Gravity” (una intro, in realtà), “Event Horizon II Entropy” e “Event Horizon III Singularity” (outro).
In conclusione, Event Horizon si presenta come un prodotto ben suonato, privo di filler, ricco di idee interessanti che palesano la crescita del combo di Trieste. Di questo passo, se verrà mantenuto questo percorso di crescita, i cinque triestini andranno veramente lontano, dimostrando che il Belpaese non è secondo a nessuno ma, anzi, in alcuni casi, può anche affiancare e addirittura superare alcuni gruppi blasonati d’oltreoceano.
Fabrizio Figus