Recensione: Everflow Part 1: Frames of Humanity

Di Marco Donè - 6 Dicembre 2024 - 7:00
Everflow Part 1: Frames of Humanity
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6 dicembre 2024: una data fondamentale per la musica dura italiana, e non solo. Come vi avevamo anticipato nel track by track di inizio ottobre, gli Athena, la band del seminale “A New Religion?”, tornano nuovamente in scena. C’è stato un cambio moniker, è vero – ora si chiamano Athena XIX – ma la formazione è la stessa del leggendario album del 1998. Forti di un importante contratto discografico con l’attivissima Reigning Phoenix Music, i cinque toscani rilasciano il primo capitolo di un doppio concept, intitolato “Everflow Part 1: Frames of Humanity”. Come ampiamente sottolineato nell’articolo di ottobre, credo sia inutile nascondere quanto le aspettative fossero alte, anzi: altissime. Emozionati come dei ragazzini di fronte a un pacco natalizio, ci siamo quindi tuffati nell’ascolto dell’album, pronti a vivere un autentico viaggio, carico di pathos.

C’è poco da fare, andiamo diretti al sodo: “Everflow Part 1: Frames of Humanity” è un lavoro candidato al ruolo di disco dell’anno. Ci troviamo al cospetto di un album intriso di qualità, personalità, capace di esprimere una freschezza compositiva che non sentivamo da tempo. Gli Athena XIX, però, non ci regalano solo grande musica: in questo quarto disco realizzano dei testi carichi di contenuti, allontanandosi anni luce dalle “social band”, quei gruppi che vanno per la maggiore nell’ultimo decennio. Stiamo parlando di quelle formazioni tutto immagine e poco altro. Ecco: gli Athena XIX prendono le distanze da questo “movimento” e riportano in auge il fine ultimo dell’artista: realizzare un’opera che sappia emozionare, che abbia qualcosa da dire, da trasmettere. Ricollegandoci all’immagine del pacco natalizio, citata a inizio articolo, possiamo dire che gli Athena XIX prestano attenzione al contenuto del pacco e non alla bellezza della scatola. Con “Everflow Part 1: Frames of Humanity” i cinque toscani, inoltre, si presentano in forma strepitosa, riuscendo a mettere a segno un album caratterizzato da partiture articolate e complesse, ma che risulta capace di entrare in testa già al primo ascolto, svelandosi un poco alla volta. Incontriamo una cura maniacale per la ricerca della melodia e per il lato emozionale delle composizioni, elementi che aiutano a far apparire semplici anche le trame più intricate. “Everflow Part 1: Frames of Humanity”, inoltre, si rivela un lavoro estremamente teatrale, in cui le tastiere di Gabriele Guidi e la voce di Fabio Lione risultano protagoniste. Voce e tastiere, infatti, enfatizzano proprio la teatralità dell’album, oltre che donare emozioni, colori, sfumature diverse a ogni singola traccia, realizzando dei pezzi capaci di stimolare l’anima, l’io più profondo dell’ascoltatore.

I suoni risultano al passo con i tempi: cristallini, potenti, grossi come macigni. Una produzione che si sposa alla perfezione con la proposta della formazione toscana. Sì, perché il nuovo “Everflow Part 1: Frames of Humanity” può essere descritto come il degno successore del fenomenale “A New Religion?”. L’identità del 1998 è ben presente in questo quarto album del quintetto pisano, viene però espressa con una chiave di lettura figlia del 2024.

È veramente difficile provare a citare un pezzo rispetto a un altro, il livello di “Everflow Part 1: Frames of Humanity” è elevatissimo in tutta la sua durata. Possiamo però fare una distinzione tra la prima parte dell’album e la sua fase conclusiva. Nelle battute finali, infatti, le atmosfere si fanno più introspettive. Le canzoni mantengono la ricercatezza e la cura maniacale per la melodia, ma rivelano colori diversi, più cupi. Questo cambio di sfumature parte da ‘Where Innocence Disappears’, che si rivela una delle canzoni più seducenti di “Everflow Part 1: Frames of Humanity”. Ma come non nominare ‘What You Most Desire’, caratterizzata da un ritornello stellare, cantato da Fabio su una partitura strumentale articolatissima. E ‘Legacy of the World’? Altro pezzo che acquista fascino ascolto dopo ascolto, regalando sempre qualcosa di nuovo, una sfumatura non notata in precedenza. E i singoli, poi? Canzoni come ‘The Conscience of Everything’ e ‘Frames of Humanity’ rappresentano alla perfezione l’idea artistica degli Athena XIX.

Credo non serva aggiungere altro: “Everflow Part 1: Frames of Humanity” è un autentico viaggio in musica, fatto di emozioni, di colori, di sfumature in continuo mutamento ed evoluzione. Un album che invita a essere ascoltato dall’inizio alla fine, senza fare skip. Una volta arrivati alla conclusione, poi, la voglia di ricominciare dall’inizio è incontenibile. Erano anni che un disco di tale intensità non capitava tra le mie mani, un lavoro che saprà durare nel tempo, un disco che saprà soddisfare i palati più esigenti, coloro che anelano al fine ultimo dell’arte. Spendiamo le ultime righe di questo articolo per sottolineare la prova dei singoli. Se di Gabriele Guidi e Fabio Lione – rispettivamente tastiere e voce – abbiamo già parlato, va assolutamente segnalata la prova di un monumentale Alessio Sabella al basso. Così come la prestazione di Matteo Amoroso alla batteria, sempre pronto a inserire dei passaggi capaci di riempire e abbellire ogni singola parte, riuscendo a risultare sempre funzionale alla struttura canzone. E poi c’è Simone Pellegrini, che con la sua chitarra traccia riff, melodie, assoli e parti cadenzate personalissime. Il punto di forza delle soluzioni scelte da Simone, poi, sta nella capacità di risultare “cantabili”, facendosi subito memorizzare.

Tutti questi elementi rendono “Everflow Part 1: Frames of Humanity” un disco riuscito in ogni singolo dettaglio, un album che saprà far parlare di sé, per molto tempo. Era “normale” attendersi un ritorno in grande stile degli Athena XIX ma immaginare che potessero raggiungere questi livelli… Bentornati Athena XIX, ora vi aspettiamo live.

Marco Donè

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