Recensione: Every Dog has its Day [Reissue] e Stop this War [Reissue]
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La storia dell’Acciaio è stata incisa a caratteri cubitali nel granito da parte delle grandi band, quelle che sono riuscite, grazie alla loro a arte e magia, a espandere il verbo in ogni dove. Altrettanto importanti sono state però quelle compagni che hanno contribuito a costruire, mattoncino dopo mattoncino, l’epopea dell’heavy metal come la conosciamo oggi.
Gruppi oscuri, che non sono riusciti a raggiungere le luci vere della ribalta, ma che non hanno mai mollato di un centimetro nonostante le avversità esibendosi in club fumosi come se fossero al Monsters of Rock e reagendo alle porte sbattute in faccia inanellate in carriera con la musica, quella dura e possente. Gente da stimare.
Fra questi ricadono senza dubbio alcuno i Damien di Toledo, nell’Ohio.
Nati nel 1981, ancora oggi risultano attivi. Nel loro carniere vantano quattro album e un Ep, l’ultimo datato 2011.
L’occasione per occuparsi di loro la fornisce la label portoghese Lost Realm Records che nel 2024 opera la ristampa di Every Dog has Its Day e Stop the War, ossia il debutto su full length degli americani e il suo seguito, originariamente usciti nel 1987 e nel 1989, in versione remaster sia in Cd con bonus track che in vinile a 33 giri. La recensione fa riferimento ai prodotti su dischetto ottico, che sono da considerarsi ben distinti fra loro – trattasi di due uscite singole – e si accompagnano a due libretti di sedici pagine ciascuno molto curati ricomprendenti la storia della band e la genesi dei rispettivi album, tutti i testi dei vari brani, fotografie a gogò, ritagli e copertine dei giornali specializzati e altra memorabilia assortita, in linea con le altre operazioni similari di ripescaggio proposte dal mercato alle quali siamo abituati in questi ultimi lustri.
I Damien partirono col piede giusto, agli inizi, riuscendo a esibirsi di fronte a centinaia di persone, nel loro Ohio, quando ancora viaggiavano a suon di demo. Così come capitò a tantissime altre band, il patatrac avvenne col primo disco ufficiale. Si affidarono infatti alle cure, si fa per dire, della Select Records, un’etichetta specializzata in Disco Dance che si fece attrarre dalle sirene del Metallo, perché in quel momento tirava. Il risultato fu disastroso, in termini di distribuzione, non possedendo la stessa label i canali adatti per prodotti HM. I Damien nel frattempo si erano creati un buon seguito, complici alcune ospitate del cantante Randy “Wolf” Mikelson in televisione e il passaggio di qualche loro video, anche se casereccio, su Mtv. Il problema è che il disco del debutto, Every Dog has its Day, oltre a uscire nove mesi dopo rispetto ai tempi pattuiti e al di là della distribuzione locale, sul resto del suolo americano si trovava a fatica. La storia narra di appassionati che pur di accaparrarselo si fecero un bel viaggetto dagli Stati confinanti sino a Toledo o quantomeno si rivolsero ai negozi specializzati una volta giunti in Ohio. La situazione a livello di diffusione migliorò in occasione del successivo Stop this War, uscito sotto Mondo Music, una label che quantomeno sapeva cosa fosse l’heavy metal. Era il momento in cui bisognava serrare le file ma i Damien non lo seppero cogliere: si infilarono viceversa in quel tunnel infinito fatto di beghe interne, lotte con la label – la precedente Select Records – ripicche personali e abbandoni.
Ma, al di là di tutti i discorsoni legati ai motivi del loro mancato salto di qualità in termini di consenso, musicalmente facevano tremendamente sul serio.
Every Dog has its Day gronda acciaio di caratura dalla prima all’ultima nota – non va dimenticato che i metaller di Toledo giunsero al debutto ampiamente rodati, dopo ben sei anni di gavetta attiva – e le varie “Possession”, “Every Dog has its Day”, “Season of the Arrow”, “Race to the End” colpiscono nel segno, sulla base dalla loro dose di heavy metal diretta discendente della grande lezione impartita da Judas Priest, Malice, Metal Church, Iron Maiden, miscela oltremodo irrobustita dalle evidenti doti di un frontman credibile quale Mikelson, artista capace di avvicinarsi senza timore alcuno a sua maestà Halford in moltissime occasioni.
Stop this War non fa altro che raddoppiare la dose di Acciaio fornita dal suo predecessore con l’aggiunta, a piccole dosi, di un quid tipicamente hard rock (“Matilda”, “Always in Lust”) ma facendo leva su di una produzione più rifinita che esalta maggiormente le qualità siderurgiche dei Damien. Le cannonate in questo secondo caso rispondono ai nomi di “Stop this War”, “Break Out” fortemente debitrice degli Scorpions e “The Priests are Coming”.
Every Dog has its Day + Stop this War: Metallo d’annata Docg.
Stefano “Steven Rich” Ricetti