Recensione: Everything is fire
Pensi alla Nuova Zelanda e probabilmente ti vengono in mente i luoghi incantati che hanno fatto da sfondo alla trilogia tolkeniana di Peter Jackson, e ti immagini che tanta bellezza possa portare solo ad uno stile di vita pacifico dato da una empatia completa con l’ambiente circostante. Pensandoci bene, però, bisogna convenire che i luoghi della terra dove la natura appare più meravigliosamente incontaminata, sono anche quelli in cui essa è più violenta e netta. Grazie a queste caratteristiche, in queste purtroppo sparute circostanze, l’uomo, animale senza scrupoli, è dovuto sottostare a compromessi oltre a continui conflitti con tali territori che credeva di dominare, uscendo a sua volta dallo scontro temprato e contaminato a sua volta da questo spirito selvatico. E’ solo questo ipotetico “brodo primordiale” che può spiegare la nascita, in questa terra paradisiaca, dei temibili All Blacks, di un regista splatter horror come il primo Peter Jackson, o di una band come gli Ulcerate.
Già fattisi notare dai più attenti conoscitori della scena brutal con le prime demo e soprattutto con un debutto del calibro di Of fracture and failure, questi teneri isolani provenienti dall’altra parte del mondo continuano a stupire il panorama metal estremo con la loro proposta musicale che, come uno tsunami, sembra voler spazzare via molti dei vecchi canoni su cui si è fossilizzato il genere da troppo tempo ormai.
Gli Ulcerate rappresentano, assieme a molte altre giovani realtà come Psycroptic (Oceanici pure loro, ndr), The Faceless o Severed Savior, il futuro del brutal, perchè sono una band che non ha paura di fare un passo più in là del dovuto e, forse, venire da una terra così “inculata” rispetto ai canonici “luoghi di coltivazione” del metal, gli permette di non sentirsi troppo osservati da occhi giudicanti.
Veniamo ora al disco. Everything is fire è l’ulteriore evoluzione del lavoro fin qui condotto dagli Ulcerate. Dal platter precedente è cambiato ancora una volta il nome dietro al microfono (è circa la quarta volta in nemmeno dieci anni di attività, ndr): ora, il compito di vomitare rabbia e disperazione, è stato affidato al bassista Paul Kelland, e chissà che non diventi la scelta definitiva, viste le ottime capacità vocali dimostrate in quest’occasione. Non più urla strazianti ma un solido e saldo growling catacombale che regge come un monolitico pilastro le areose trame del quartetto.
Anche uno dei due precedenti chitarristi non è più della partita ma ciò che conta è che sono rimaste le due principali anime compositive: il chitarrista Michael Hoggard e la macchina da guerra Jamie Saint Merat dietro le pelli il quale, tra l’altro, è anche autore dello stupendo artwork dell’album.
Everything is fire è un castigo per le menti pigre! Otto tracce della lunghezza media di 6 minuti, che non lasciano tregua a quelle orecchie che sono alla costante frenetica ricerca di una linea melodica, di una trama portante cui aggrapparsi. Un susseguirsi mai noioso di accellerazioni e rallentamenti, di una potenza ed una mastodonticità inaudite lacerano l’anima e la portano a spasso sulle strade accidentate della follia.
Dopo un inizio cadenzato, deflagra massiccia l’opener Drown within, con blast beat e cambi di tempo repentini, ma è con We are Nil che si comincia a capire il sapore del dolcetto avvelenato che abbiamo messo in bocca: il brano è schizofrenia pura che, improvvisamente, a meno di 2 minuti dal termine, si tramuta in una desolante, lenta atmosfera post metal. Il tutto sfocia nella frenesia delle chitarre taglienti di Withered and Obsolete, pezzo dalle velocissime trame progressive.
Si cambia ancora registro con l’accoppiata formata da Caecus e Tyranny: la prima parte e finisce brutale come poche ma nasconde un’implosione ritmica in pancia che ricomincia con l’inizio del brano successivo, fino a che non riparte per l’ennesima volta il doppio pedale indiavolato di Saint Merat a distruggere ogni scampolo di pace acquisita; il tutto in una sorta di otto volante di emozioni da far vomitare anche gli occhi.
Dopo l’ennesima mazzata costituita da The Earth at its knees si chiude con il dittico Soullessness embraced/Everything is fire, tracce apocalittiche che non lasciano alcuna speranza di sopravvivenza, soprattutto la titletrack, dove la voce poderosa di Kelland sembra opporsi da sola e invano contro il sopraggiungere di un qualcosa di mostruoso che sembra per un attimo prestare ascolto, prima di radere al suolo ogni cosa senza pietà. Emozionante qui, per il pathos che sa donare, la prova di Hoggard, soprattutto nell’epico finale del brano.
Gli Ulcerate mi hanno davvero impressionato; per me è stato come sentire i Dillinger Escape Plan in una ideale scazzottata con i Morbid Angel, oppure i Meshuggah in uno split con gli Isis: brutalità e tecnica, estrema velocità e trame intricatissime di chitarre, bordate di cemento sonoro e subdole melodie di morte; e quel che è peggio è che penso che questi quattro kiwi (dopo la registrazione del disco si è aggiunto un nuovo chitarrista, ndr) debbano ancora dare il meglio di sè! Tecnicamente strepitosi avranno tutto il tempo per sviluppare ancora le trame del loro ingegno artistico.
Nel frattempo a me non resta che consigliarvi anche più di un ascolto di Everything is fire. Eh sì, perchè ogni ascolto vi donerà certamente nuovi elementi per amare questi Ulcerate.
Senza dubbio uno dei migliori dischi dell’anno in campo brutal death.
Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro
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Tracklist
- Drown Within 06:43
- We Are Nil 05:42
- Withered and Obsolete 06:11
- Caecus 06:27
- Tyranny 05:23
- The Earth At Its Knees 05:46
- Soullessness Embraced 06:37
- Everything Is Fire 07:52
Total playing time 50:41