Recensione: Evil and Divine

Di Carlo Passa - 20 Maggio 2021 - 8:28
Evil and Divine
Band: Sunbomb
Etichetta: Frontiers Music Srl
Genere: Heavy 
Anno: 2021
Nazione:
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76

Un’altra collaborazione estemporanea tra nomi della scena hard & heavy che fu, messa in piedi dalla Frontiers. Questa volta tocca alla voce di Michael Sweet (Stryper) e alla chitarra di Tracii Guns (L.A. Guns), che danno alle stampe Evil and Divine sotto il monicker Sunbomb. Della partita sono anche l’ex batterista degli L.A. Guns Adam Hamilton e, sulla sola They Fought, l’attuale bassista della band californiana, Johnny Martin.
Il pregio di Evil and Divine è che suona del tutto disinteressato: i due leader sembrano divertirsi un mondo a suonare “il disco metal che avrei fatto quando avevo 17 anni” (Tracii Guns). E, in effetti, di metal, heavy metal si tratta: datato, ma eterno, heavy metal del tutto debitore nei confronti di Judas Priest e Black Sabbath.
Potrei anche chiudere qui: sapete cosa attendervi dai Sunbomb. A pezzi come Life, Better End, o No Tomorrows, che bussano esplicitamente alla porta di Rob Halford, si accostano Take Me Away, Stronger Than Before, o World Gone Wrong, che invece sono supersabbathiane. E Evil and Divine è tutto qui, a cavallo tra questi due numi tutelari del nostro amato genere, scelta rischiosa e, appunto, disinteressata da parte di Tracii e Michael: perché il confronto è inevitabile e inevitabilmente impari. Eppure Evil and Divine riesce a suonare fresco e dinamico: se volessimo definirlo in negativo, il disco non è né posticcia emulazione, né sterile clonazione. Ed è cosa preziosa di questi tempi.
Sarà per l’esperienza dei due, o forse per la sincerità della loro passione nei confronti della musica che hanno composto e stanno suonando, ma Evil and Divine non ha cali e salta fuori prepotente dalle logore casse dei nostri impianti hi-fi, che pensavano di avere ormai sentito tutto quanto di ottimo l’heavy metal potesse produrre.
Prendete Better End: ha un piglio priestiano eccezionale. Oppure No Tomorrows, che gioca intorno a una melodia chitarristica un po’ maideniana. E che dire di Born To Win, che richiama i Sabbath della prima metà degli anni Ottanta?
E poi la title track, che costringe all’headbanging furioso, o Stronger Than Before, che ci porta negli anni Settanta e sporca il blues con l’allora nascente heavy metal; o ancora Story of the Blind, vera cavalcatona che non potrà non piacere a tutti noi.
Discorso a parte merita Been Said and Done, ballad semi-acustica che, nonostante non possa non richiamare lo sleaze degli L.A. Guns, riesce a non suonare del tutto fuori contesto, soprattutto grazie alla prova metallarissima di Michael Sweet, che la orienta verso lidi decisamente più epici di quelli del Sunset Strip.
Infine, They Fought non sarà un capolavoro, ma, insomma, gli Iron Maiden piacciono a tutti e certi loro stilemi, seppur riproposti quasi pedissequamente, un poco il cuore lo fanno sempre battere.
Evil and Divine dà da pensare. Nel complesso, è proprio un bel disco: sincero, diretto, ben composto e suonato con il giusto equilibrio tra cura e istinto. D’altra parte, fa riflettere che un disco del genere sia stato prodotto da due vecchie glorie che scrivono musica vecchia per un pubblico che se vecchio non è (o, almeno, tale non si sente), certo non è fatto di ragazzini. Ma per chi, come il vostro recensore, è del tutto inserito nella fascia di quel pubblico, la musica di Evil and Divine è tutto tranne che vecchia: per noi, l’heavy metal dei “diciassettenni” Tracii e Michael è semplicemente eterno, talmente abbracciato alle proprie radici da confondersi con esse e, dunque, ignorare il mezzo secolo che ormai ci separa da Paranoid.
Ascoltate Evil and Divine soppesando nostalgia e passione, passato e futuro: perché l’heavy metal, pur a sé stesso uguale, non solo è vivo, ma sa ancora prendervi a calci nei denti.

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