Recensione: Evil Comes
Secondo album per gli Evil Conspiracy, quintetto di vichinghi formatosi all’inizio del nuovo millennio e dedito ad un mix tra heavy e power metal massiccio e sinistro che riecheggia, di tanto in tanto, la ruggente proposta di gruppi come Grave Digger, Mercyful Fate e Accept. “Evil Comes” arriva a cinque anni dal debutto “Prime Evil”, e presenta dieci tracce per una cinquantina di minuti di sonore mazzate infarcite di melodie maligne e riff corpacciuti, il tutto caricato da una buona dose di sfacciataggine e arroganza e il giusto pizzico di trionfalismo per dare un valore anthemico ai pezzi. Le chitarre sono grasse al punto giusto ma non esitano a farsi taglienti e ad ammantarsi di tanto in tanto di melodia, la sezione ritmica spazia tra martellate granitiche e rapide sfuriate e la voce maligna ed iraconda corona il tutto col suo fare sfacciato. Il risultato è un album arcigno, diretto e cafone, ma in cui di tanto in tanto si avverte la mancanza del proverbiale colpo di coda che lo faccia svettare sulla concorrenza.
L’album si apre con la coattissima “Dogs ov War”, ritmata e corale, in cui tempi scanditi e riff classicissimi scandiscono la marcia del quintetto, che si fa sempre più insistente fino alla mitragliata finale. Buon inizio, ignorante e sanguigno, bissato dalla successiva “When Evil Comes to Town” e dal suo respiro stridente. Le ritmiche si fanno incalzanti, stemperate di tanto in tanto da passaggi meno burberi ed intermezzi corali più anthemici. Belli il rallentamento minaccioso e la sezione strumentale che segue l’assolo, mentre il finale nuovamente anthemico cede il passo alla tesa “We Rise”. I ritmi tornano a farsi incombenti, quadrati, con i cori che guadagnano preminenza per alzare il livello di cafonaggine del pezzo, che culmina nel rallentamento che apre la seconda metà della canzone. “Demons on Speed” torna ad accelerare, seppur di poco, dispensando riff classicissimi, dal retrogusto ai limiti dell’hard & heavy, ma sempre d’impatto. Le improvvise sfuriate donano una certa cattiveria al pezzo, ma purtroppo non lo salvano da una certa ripetitività di fondo, inficiandone il valore finale. Un arpeggio soffuso ma vagamente sinistro apre “Endless Darkness”, che in breve si carica di un’aura intimidatoria grazie al riff portante lento, sulfureo e pesante. Pian piano, una certa melodia inizia ad affiorare, pur restando ancorata all’atmosfera sinistra e maligna del brano. La breve accelerazione centrale apre a un’atmosfera meno opprimente, con riff heavy che si amalgamano a melodie più ariose prima di sprofondare di nuovo nella colata lavica e nell’arpeggio finale. “Golgotha” sembra puntare, almeno inizialmente, su un’impronta più solenne, enfatica. In realtà si tratta di una finta, visto che il gruppo torna a snocciolare riff granitici e atmosfere maligne, spezzate solo dalla sezione solista meno sinistra ma, comunque, sufficientemente intimidatoria. “Pagan Curse” parte propositiva, con riff dinamici sorretti da una sezione ritmica rombante. La carica del pezzo trova compimento nel ritornello corale enfatico, mentre la sezione solista trasmette la giusta dose di adrenalina. Si arriva ora a “Violent Intent”, traccia quadrata e ritmatissima in cui i nostri mettono in mostra un po’ di muscoli distribuendo riff roventi, ritmiche serrate e un breve assolo, stridente ai limiti del thrash, fino a dar vita a tre minuti e mezzo di gustose martellate. “Resurrection” svela l’anima più power metal del gruppo, distendendosi su riff semplici e cafoni e una ritmica spedita ma che si incattivisce grazie a un approccio vocale più arcigno. Per la verità, la canzone non brilla di luce propria, diciamo così, risultando un po’ sottotono e limitandosi a qualche buono spunto non completamente sviluppato. Chiude l’album “Down to the Lord”, traccia lenta e scandita dai toni minacciosi che in un attimo si carica di enfasi trionfale. La canzone prosegue così, alternando minaccia e possanza corale fino all’intermezzo narrato che cede ben preso terreno all’accelerazione che, a sua volta, introduce un’aria più dinamica e meno opprimente nella composizione, ponendo il sigillo a questo “Evil Comes” con una interessante alzata di toni.
Al termine dell’ascolto non poso far altro che considerare “Evil Comes” come un onesto album di heavy/power, sfacciato e gustosamente molesto, che però, in ultima analisi, risulta non completamente riuscito, con canzoni avvincenti e giustamente aggressive che si trovano affiancate ad altre meno performanti, ben costruite e suonate ma alle quali, come scritto in precedenza, manca quel quid che faccia fare ai nostri il salto di qualità.