Recensione: Evocation I: The Arcane Dominion
Anche solo qualche anno fa, gli Eluveitie avrebbero avuto bisogno di una lunga introduzione incentrata su come questa moltitudine di svizzeri si siano riuniti e abbiano iniziato a firmare un album dietro l’altro spinti da una ruggente passione per le sognanti atmosfere celtiche. La loro popolarità è tuttavia cresciuta d’impeto ed è, ora come ora, difficile trovare qualcuno nell’ambiente che non li abbia mai sentiti nominare.
Il merito, più che di Vén o di Spirit, è stato dell’acclamato Slania – un piacevole esempio di come il folk metal ben prodotto riesca a far breccia in un genere sempre più ingolfato da band emergenti. Nel corso di questi pochi anni di vita gli Eluveitie si sono guadagnati una folta schiera di fan che li ha seguiti sia nei numerosi tour in Europa che addirittura nei due tour americani, di spalla a mostri sacri come Moonsorrow o Primordial.
Certo è che i loro fan sono abituati a certi tipi di sonorità e per questo “Evocation I: The Arcane Dominion” sarà certamente un colpo non indifferente da sopportare: come dire, una vera prova di fedeltà.
A dire il vero ero persino tentato di non recensirlo, vista la scarsissima attinenza al mondo del metal, ma poi, a conti fatti, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare: nelle band folk metal, viking, pagan et similia arriva quasi sempre il momento dell’album acustico e per gli Eluveitie sembra proprio arrivato quel giorno.
Dimenticate tutto quello che sapevate della band svizzera: stavolta le redini vocali sono della prorompente e giovanissima Anna Murphy: il povero Christian Glanzmann stavolta partecipa a brevi sessioni riempitive di sottofondo, che in genere non gli si addicono ma alle quali stavolta è costretto a sottomettersi perché Evocation I – a conti fatti – è un album al 100% femminile. Femminile nelle voci, femminile nell’approccio strumentale, femminile negli intenti e femminile nelle atmosfere.
Per gli Eluveitie “album acustico” non è solamente una dicitura qualunque, ma una vera epopea da perseguire fino in fondo. L’album appare immediatamente lunghissimo con le sue quindici tracce, eppure non arriva nemmeno a 50 minuti. L’intero lavoro si dipana lungo brevi canzoni e altrettanto brevi intermezzi musicali suonati con una delicatezza e vigore davvero fuori dal comune e con l’utilizzo di polistrumentisti che danno vita a viole, liuti, flauti flessibili e strumenti difficilmente pronunciabili come lo schwyzerörgeli presente in “Gobanno“.
Sommariamente parlando, è innegabile l’altissimo livello tecnico dell’album: registrazione cristallina, missaggio estremamente professionale (non dev’essere facile livellare armoniosamente strumenti tanto diversi) e arrangiamenti di gran qualità, tanto che sospetto più di una mano esterna a supporto dei nostri giovani vicini di nazione. Del resto, da Nuclear Blast c’è da aspettarsi un livello di perfezione quasi maniacale per una che potrebbe diventare una delle band di punta dell’etichetta. L’esecuzione strumentale, per quel che è chiaramente, non lascia sbavature né incertezze: tutto scorre a meraviglia nel flusso di un album che a guisa dei Wardruna va ascoltato di fila almeno una volta per essere apprezzato appieno.
Andando nel dettaglio, questo Evocation I si rivela un album di chiari e scuri che sono certo dividerà ferocemente i fan e gli ascoltatori occasioniali. Alle spalle di un’esperienza senza dubbio idilliaca giace un album opaco, trasognato, che incanterà un certo tipo di audience e che immancabilmente annoierà chi aveva voglia di qualche sana legnata vecchio stile, alla Dark Tranquillity meets folk metal per intenderci. Qui di death neanche l’ombra. Le sottili cesellature di flauti, violini e percussioni che adornano l’opener “Sacrapos” e che ritornano a più riprese nelle celtiche, quasi elfiche tracce seguenti prendono vita per entrare in risonanza con gli ascoltatori dagli animi più proni a certi tipi di sonorità… i quali esisteranno certamente, ma non sono la totalità dei fan degli Eluveitie, quei fan che si aspettavano un album acustico ma non così trascinato. Alcune strumentali indubbiamente la tirano un po’ per le lunghe, quasi a voler aumentare artificialmente il minutaggio di un album che non voleva passare come operazione commerciale, e in più di una occasione la cantante sembra adottare un atteggiamento canoro un po’ da “primadonna”, come a voler dimostrare che la voce femminile c’è e che deve essere usata… una frase che viene direttamente da una sua dichiarazione, qualche tempo addietro. Il punto è che alcuni brani sfiorano il pop: tralasciando le tracce più riuscite come l’oggettivamente ottima “Omnos“, in alcuni casi mi sembrava addirittura di ascoltare j-pop particolarmente ispirato, complice l’uso del gallico che adombra le percezioni linguistiche del 99,99% degli ascoltatori e che quindi lascia che la mente spazi verso altri universi.
Non tutti gli album acustici riescono con il buco, e non è detto che un album di questo tipo sia automaticamente un’opera d’arte solo perché è più ricercato, più elitario – o volendo persino snob. Evocation I – primo capitolo di una “bilogia” – è un album diverso, un folk intellettuale che odora di forzato ma che indubbiamente si lascia ascoltare praticamente da chiunque per via dei forti richiami ambient, pop e neofolk – tre generi sulla cresta dell’onda fin dalla nascita delle correnti del New Age. In due parole, è un album che verrà accolto con eguali dosi d’odio e di amore sperticato.
La band ha già affermato che sarà un unicum, un esperimento che sognavano da tempo e che oggi ha trovato sostanza. E per questo il giudizio non dev’essere particolarmente tagliente. Questo non è il nuovo corso degli Eluveitie, come Visor om Slutet non era il nuovo corso dei Finntroll. Meglio sperimentare che rimanere negli stessi binari per anni e anni: certamente riceveranno critiche ed elogi e impareranno molto da questa nuova esperienza. Giusto i loro fan più vecchi sappiano a cosa vanno incontro. Non è un disco indispensabile e non è fatto per soddisfare i palati più metallici.
Per quello dovremo aspettare Evocation II, un disco dal destino certamente più prevedibile rispetto a quello del qui presente predecessore.
Daniele “Fenrir” Balestrieri
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TRACKLIST:
1. Sacrapos – At First Glance
2. Brictom
3. A Girls Oath
4. The Arcane Dominion
5. Within the Grove
6. The Cauldron of Renascence
7. Nata
8. Omnos
9. Carnutian Forest
10. Dessumiis Luge
11. Gobanno
12. Voveso In Mori
13. Memento
14. Ne Regv Na
15. Sacrapos – The Disparaging Last Gaze