Recensione: Evoke

Di Daniele D'Adamo - 14 Novembre 2020 - 0:00
Evoke
Band: Unseen Faith
Etichetta: Prime Collective
Genere: Metalcore 
Anno: 2020
Nazione:
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77

Le storie narrate dalle band che praticano il metalcore hanno spesso come soggetto il mare. Si tratta di un’evidente voglia di evadere dalla deleteria pressione della vita moderna, per lasciarsi andare a un contatto il più intimo con la Natura, sino a naufragarvi. Un naufragio che, al contrario di come potrebbe sembrare, rappresenta una ferrea voglia di vivere. Vivere liberi dalla catene di una società in completo decadimento, foriera di un futuro distopico che, in un modo o nell’altro, decreterà l’estinzione del genere umano.

In fondo, il metalcore è proprio questo: sognare a occhi aperti un’esistenza nella quale gli Uomini non siano meri individui rappresentati da numeri o codici a barre, bensì insiemi di persone, ciascuna dotata di una propria, autonoma singolarità. Ecco che, come fari, emergono dalle nebbie dell’oblio band come gli Unseen Faith. I quali, per contrastare l’ordinata avanzata di quel gregge umano che segue pedissequamente concetti precostituiti senza riflettere né su cosa, né su perché, adotta uno stile musicale duro, arcigno, altresì melodico, anzi melanconico. Uno stile per scuotere le coscienze, sia con la forza delle parole, sia – soprattutto – con quella musica.

Nel caso in ispecie, i Nostri – con il loro secondo disco in carriera, “Evoke” – riescono a porsi su un gradino energetico più elevato rispetto a quello del metalcore classico, ma nel contempo più basso in ordine al più stretto parente di quest’ultimo: il deathcore. Un’operazione assai difficile da mettere in piedi, giacché si tratta di calibrare con precisione certosina la forza con cui spingere la musica. Un’operazione che il combo danese è stato in grado di compiere con successo, definendo con chiarezza le proprie idee, i propri pensieri; giungendo a disegnare una foggia musicale magari non originalissima ma senza dubbio di rara entità tipologica. Sì, perché pur mantenendo ben fermi i dettami del *-core, lo spazio di manovra fra i due generi su citati non è poi ampio, anzi. Basta poco, infatti, per passare dall’uno all’altro senza accorgersene. Onore al quintetto di Aarhus, allora, per aver elaborato nel tempo un sound che, facendo sue in ugual misura le tipologie suddette, fosse equilibrato, fermo, deciso, di carattere, fortemente indicativo di questa speciale peculiarità da equilibrista.

Non a caso è già con l’opener-track ‘Downfall’ che si parte con un’erogazione di potenza elevata, abbinata a un improvviso ritornello melodico e a un uso dell’elettronica che dona al tutto una sensazione di modernità. Gli Unseen Faith picchiano sodo, smembrano le membrane timpaniche con tanto terremotanti quanto demolitori stop’n’go. ‘New Era’, ed emerge il lato più emozionale delle canzoni, il cui mood tende inesorabilmente alla nostalgia; aiutato in ciò dai caratteristici cori che trovano tanto riscontro nel metalcore. Emergono in sostanza parecchi sentimenti contrapposti, la cui distanza è aiutata dalla ridetta ubicazione del quintetto nella, si può ben dire, terra di mezzo.

Il prosieguo delle canzoni segue la traccia lasciata dai primi due episodi, in uno scoppiettante ritmo che non disdegna di addentrarsi a tutto gas nell’inestricabile foresta dei blast-beats (‘Heart in a Prison’, ‘The Perfect Human’). Cori ed elettronica continuano a inseguirsi miscelandosi fra loro per pennellare, anche, una sfumatura di cyberpunk.

Il tutto, diretto da Alexander Eriksen, cantante in grado di eccellere sia con le harsh vocals d’ordinanza, sia con la voce pulita ma anche con alcune rapide linee in growling, per non dimenticare nemmeno l’inhale. Un interprete assai versatile ma anche dotato tecnicamente, bravo in ogni occasione, in possesso del carisma necessario per trainare il resto del carrozzone con il piglio del condottiero scevro da paure e/o indecisioni. ‘Ode to Heresy’ e ‘Out of the Dark’, dagli incipit morbidi e caldi, sono forse l’espressione migliore di quello stare a metà di cui si è tanto parlato.

A voler vedere il pelo nell’uovo, forse manca il colpo del kappaò. L’hit, insomma. Che, probabilmente, anzi sicuramente, non è una delle priorità degli Unseen Faith. Anche perché, a ben vedere, è tutto “Evoke”, a essere una sberla da knock out.

E che sberla!

Daniele “dani66” D’Adamo

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77