Recensione: EvoRevolution
Procede spedito l’ardito percorso sonoro di Alberto Rigoni, talentuoso bassista trevigiano, che dopo il divertito Bassorama (2016) e Duality (2017) pubblica un nuovo disco solista, EvoRevolution, neologismo che si sposa a un artwork “titanico”. Ad accompagnare il mastermind c’è la gradita presenza del mitico batterista Marco Minnemann (The Artistocrats, Steven Wilson), in forze anche ai neonati The Sea Within. Il musicista ex-Twinspirits questa volta si cimenta in un’opera per sottrazione: volendo valorizzare le potenzialità sonore del basso elettrico compone (come in un lipogramma dell’OuLiPo) una lunga traccia divisa in sei parti (tutte intitolate con il suffisso -tion) suonata dalla sola parte ritmica e con l’utilizzo di effettistica e quant’altro. La strumentazione è di tutto rispetto, nel booklet leggiamo tra l’altro la presenza di tre bassi eccezionali: un Cort action DLX V Plus bass, un LTD B-208FM 8 string basse un Ibanez GWB35 5 string fretless bass.
La suite inizia sorniona nel segmento chiamato “Evolution”, l’effettistica è preponderante e l’uso degli armonici crea un’atmosfera onirica che è un ottimo biglietto d’avvio. Si respira infatti aria prog. ma anche fusion e la batteria di Minnemann diventa l’ossatura principale delle immagini sonore che potrebbero portarci ovunque e in nessun luogo. Compare anche il primo dei numerosi sample recitati che arricchiscono il platter e fanno molto anni Novanta, ma anche rumori ambientali come trilli ornitologici. L’avvio di “Revolution” è invece più cupo e durante il settimo minuto sembra comparire perfino un trapano imbizzarrito! Per chi non è digiuno di album strumentali vengono in mente alcune sonorità dei capitoli Gordian Knot e degli Attention Deficit. Dalla rivoluzione all’illusione, “Illusion” lascia spazio a Minnemann per inanellare finezze e fill sincopati (e compare anche la doppia cassa), mentre il basso continuo di Rigoni intesse litanie magnetiche e ipnotizzanti. Siamo a metà suite.
I restanti tre movimenti rappresentano la pars destruens del concetto di “EvoRivoluzione”. “Desolation” è il ritratto di un paesaggio desolato alla Confortably Numb per intenderci, il tempo si dilata, l’ascoltatore per qualche istante può scendere a patti con il proprio languore più autodistruttivo. Ritroviamo alcune asprezze sonore in “Destruction” e al ventesimo minuto Rigoni sfodera un riff che per dropped guitar farebbe ugualmente faville, per poi alternare parti cervellotiche ad altre con più groove e orecchiabili. “Involution” conclude la composizione con i suoi dieci minuti ondivaghi: s’inizia con note simil-Twin Peaks, ritornano alcuni temi già presentati, l’uso degli armonici (vera risorsa del basso elettrico!) e ascoltiamo un respiro umano affannoso. Al minuto ventiseiesimo c’è un climax risolutivo, ma il tunnel sonoro prima di trovare una soluzione di continuità procede per altri meandri tortuosi, tra sample (forse troppo presenti in questo frangente) cambi di tempo, suspense e gli ultimi secondi catartici che interrompono bruscamente il fluire della musica.
Dopo una mezzora così intensa, “Back to Life” è l’ideale prosieguo della suite, un’effimera rinascita divertita e maggiormente accessibile dato il minutaggio breve. L’abilità tecnica di Minnemann (erede ormai acclarato di Mike Portnoy e Gavin Harrison) lascia basiti, Rigoni non poteva scegliere miglior deuteragonista per questo album.
In definitiva EvoRevolution è un esperimento riuscito, una scommessa vinta nonostante ragionevoli dubbi iniziali. Si tratta di una sfida alla creatività, nell’inseguire un disegno sonoro che rischia di farsi impalpabile o ripetitivo se non magistralmente dominato. Buona la produzione, il virtuosismo non manca, ma resta sotto controllo. Un disco non per tutti, sicuramente per bassisti navigati e per chi ama questo strumento umbratile e corposo. Alberto Rigoni ha svelato un’altra sfaccettatura della sua identità musicale, chissà cosa proporrà al prossimo giro, per ora complimenti.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)