Recensione: Excelsior
Ciao a tutti, sono Alice e sono appena caduta nella tana del Bianconiglio! Da lì sono giunta in un mondo dove tutto è progressive e symphonic, ma non hanno mai sentito parlare di Dream Theater, Queensrÿche o Royal Hunt. Impossibile, direte voi. Che razza di posto è mai questo? Sono nella tana del Cappellaio Matto e qui, proprio come nel Paese delle Meraviglie, le leggi e i riferimenti del nostro universo non hanno valore. Qui è l’eclettico Stregatto, al secolo Jarno Vitri, a dettare la sua volontà tanto dietro il microfono quanto al basso. Lo accompagna alla batteria una vera macchina da guerra a nome Arto Pitkänen. Poi per supportare tanta potenza e infarcirla della giusta dose di melodia e cattiveria ci vogliono ben due chitarre e una tastiera. Ecco allora rispettivamente Jaakko Hänninen, Kari Korhonen e Petja Puumalainen a completare un gruppo, è proprio il caso di dirlo, da… favola!
Non ci credete? Allora lasciatevi subito trasportare dai suoni orientaleggianti dell’intro “Eye of the Storm” nei territori progressive della lunga “Break The Chains (Into The Black)”. Un brano articolato, persino complesso, che tra giochi stereofonici e variazioni ritmiche e armoniche sorprende per la perfezione dei suoni e per come scorre veloce nonostante la durata prossima ai sette minuti. Di stampo più symphonic la successiva “Birds Of Prey” in cui tastiere e chitarre si spendono in lunghi dialoghi per tessere il tappeto melodico su cui la voce di Jarno ricama una prova brillante per varietà ed espressione. Meno ricercate ma non meno efficaci e dal vago sapore vintage le linee di “Masters Of Hate” in cui i nostri si permettono anche il lusso di qualche geniale raffinatezza esecutiva, mischiando poi il tutto nel solito eterogeneo reticolo compositivo. “Trail Of Fears” ci restituisce un pezzo più diretto ma non per questo meno riuscito. Il riffing è tagliente e il tempo tirato, nonostante le ormai consuete variazioni ritmiche, cui si aggiungono, ciliegina sulla torta, anche cori che inizialmente potrebbero sembrarvi banali ma, dal secondo ascolto in poi, di rivelano trascinanti. La furia di una sezione ritmica indiavolata si scatena in “Through The Unknown” che vi mitraglierà senza sosta dandovi possibilità di respirare solo durante le stupende aperture melodiche sottolineate nel finale dal coro femminile. I fraseggi di chitarre e tastiere sono un capolavoro per gusto e tecnica perché con tanta “potenza di fuoco” è facile strafare e diventare noiosi invece i nostri sanno dosare il tutto con parsimonia, deliziandoci senza farci mancare nulla. Dopo un pezzo così tirato un po’ di respiro ci vuole ed è con “Guardian Angel” che i nostri ci permettono di abbassare il livello dell’adrenalina. Si tratta di una classica metal ballad struggente e sognatrice che rinuncia al romanticismo più smielato per un po’ di energia proprio quando correrebbe il rischio di diventare stucchevole. Un’altra prova magistralmente composta ed eseguita dopo la quale questi finlandesi non riescono più a trattenersi e nella suggestiva “Hero’s End (At The Silver Gates)” reimpostano il metronomo su livelli da tachicardia. La struttura ramificata ci porta in territori anche molto diversi tra loro ma sempre accompagnati dall’onnipresente ultra-tecnica di questo combo delle meraviglie. Ispiratissimo il crescendo dietro al microfono così come la prova dei solisti. Segue un breve interludio, per altro leggermente insipido, intitolato “Ascension” che ci porta direttamente nella caleidoscopica “The Aftermath” dove ancora una volta si dà sfoggio di grandi abilità compositive e soprattutto di una teatralità che solitamente è appannaggio esclusivo dei grandi nomi del prog e che invece ritroviamo qui coadiuvata anche da virtuosismi e gusto.
Dove sta il confine tra genio e follia? Qui! Siamo nel regno delle idee e della creatività con il gran finale, la traccia più lungo del disco, a titolo “Not Of This World”, e i nostri condensano tutto il loro repertorio di doti e influenze in un brano prossimo agli otto minuti che letteralmente vola tanto è variegato, ben costruito nonché intrigante, divertente e persino orecchiabile. Davvero roba di un altro mondo.
“È l’ora del thè!” e speriamo che il Cappellaio Matto ci inviti spesso perché dalla sua tana escono davvero prodotti di ottima qualità. Come questo Excelsior che, dalla produzione praticamente perfetta all’artwork particolarmente evocativo, non presta il fianco a vere critiche in nessun frangente. A voler cercare per forza delle mancanze si potrebbero additare alcuni suoni di batteria non sempre perfetti o la voce talvolta un po’ troppo nasale, ma sono davvero peccati veniali da ascrivere a un lavoro maturo e di buon spessore artistico. La giovane band di Tampere (Finlandia), è giusto ricordarlo, è solo al secondo album. Sul loro sito (www.madhattersden.com), per altro non proprio aggiornatissimo, questi ragazzi affermano di suonare “solo” heavy-metal ma qui c’è molto, molto di più, infatti contenuti in questo disco si possono sentire svariati generi, rimandi a musiche tradizionali dei paesi legati alla loro terra (e non), nonché influenze di diversi gruppi misti a richiami di molte sonorità differenti. I Mad Hatter’s Den riescono però a fondere e rielaborare tutto questo enorme bagaglio in maniera originale integrandolo con sapienza nel loro sound e incastonandolo in uno stile personale e mai scontato. Stiamo parlando di una proposta difficile e complessa, però mai ostica nell’assimilazione o pesante nella fruizione, perchè indubbiamente qui sono l’emozione e la passione le stelle binarie che guidano il cammino di queste tracce. Ultimo ma non meno importante, questo CD migliora col tempo e, ascolto dopo ascolto, vi capiterà di apprezzare sfumature e dettagli, talvolta anche sorprendenti, che inizialmente non avevate potuto cogliere tanto sono ricchi gli arrangiamenti del platter. Candidato obbligatoriamente a entrare nella lista dei migliori album del 2016.