Recensione: Executor
‘Executor’ è il quarto Full Length dei Fateful Finality, band proveniente dalla Germania e dedita ad un Thrash furibondo e feroce, intriso di toni grevi e di influenze Death che lo rendono anche pesante e moderno.
L’album, disponibile dall’11 ottobre 2019 attraverso la label teutonica Fastball Music, è composto da dieci tracce, delle quali otto sono inedite e due sono cover.
Nella globalità il lavoro non è male, non grida al miracolo ma si lascia sentire e, qua e là, lascia spuntare anche qualche breve cenno di personalità, dato soprattutto dall’utilizzo delle melodie che s’intersecano nei riff ed accompagnano una voce dura, cupa e minacciosa.
Il batterista Mischa Wittek è di quelli che non si ferma neanche se gli spari; puoi schiodarlo violentemente dal seggiolino che lui continua a picchiare selvaggiamente senza sosta, anche a casa. In alcuni passaggi a parere del sottoscritto esagera ma, per la maggior parte del lavoro, fa un buon uso sia della doppia cassa che dei blast beat, grooves utilizzati principalmente nel Death e nel Black ma sempre più di frequente anche nel Thrash moderno.
Le due asce Patrick Prochiner e Simon Schwarzer lavorano bene sia in sede ritmica, con buoni serraggi e riff incisivi, sia in sede melodica, con linee gradevoli e perforanti, soprattutto quando suonano in sincrono. Con gli assoli riescono ad emozionare senza esagerare, rimanendo nelle trame del pezzo come estensione del cantato, senza perdersi in giochi virtuosi che escono dal pentagramma.
Anche il bassista Philipp Mürder sa il fatto suo, aggiungendosi alle chitarre nel creare le giuste tessiture grevi per avvolgere il sound del combo dentro un’atmosfera oscura e malvagia.
Il platter parte con ‘Time Has Come’, un’intro malinconica di pianoforte, che dà un senso di tristezza e solitudine. Il pezzo prende corpo con l’intervento di una chitarra acustica e di una elettrica.
Il primo brano vero e proprio è ‘Fire and Brimstone’, duro, veloce, dinamico e suonato con buona tecnica, al quale segue la rabbiosa ‘The Raid’, dove cadenze e velocità s’inseguono. La rabbia esplode nel refrain mentre la melodia nell’assolo.
La chitarra solista è protagonista in ‘Wreckage of the Flush’, prima lento ed emozionate e poi veloce e devastante.
‘Expect Your Executor’ è una delle migliori: arpeggi melodici, una breve narrazione malinconica, l’improvviso attacco veloce e pestato, il cambio di tempo per dare il via a strofe cadenzate che poi prendono un ritmo più serrato … è un pezzo parecchio dinamico, assolutamente non immediato, ma coinvolgente una volta che ci si è entrati dentro.
‘They Breed the Dead’ è marziale ed esplosiva, con strofe che urlano la propria disperazione e ritmi stoppati che estremizzano la rabbia.
‘Rot’ è un altro brano che lascia il segno: un tempo medio pesante e melodico con un bell’assolo, mentre ‘Venomous’ riprende le trame dei pezzi precedenti.
Conclusi gli inediti i Fateful Finality presentano due cover: con la prima si prendono un gran rischio: proporre Moonchild (si, proprio lei, quella di ‘The Seventh Son of a Seventh Son’ degli Iron Maiden) in chiave Thrash non è facile, ed in effetti il risultato lascia un po’ il tempo che trova. Apprezziamo la volontà e l’idea, ma solo quelle …
La seconda cover è ‘Overkill’ dei Motorhead e qui senz’altro i Fateful Finality si trovano più a loro agio. Il brano è suonato bene, anche se si va a sommare alle decine e decine di rifacimenti di uno dei brani più riusciti di Lemmy & Co, e va a concludere degnamente l’album.
Riassumendo: ‘Executor’ non porta nulla di nuovo, ma in esso si sente la volontà di farlo, con spunti interessanti ed un elevato tasso di potenzialità. L’album è già il quarto, ma non è detto che con il quinto i Fateful Finality non ci stupiscano definitivamente. I presupposti ci sono tutti.