Recensione: Exhale
E con questo sono sei.
I full-length degli austriaci Lost Dreams, autori sin dalla loro nascita soltanto di album di lunga durata, quasi a confermare un’attitudine innata a comporre tanta musica, e di discreta/buona qualità. Del resto non farebbero parte del roster della label tedesca Massacre Records, forse, etichetta specializzata la cui importanza sia storica, sia moderna, non è seconda a nessuno.
A proposito di moderno, proprio la casa discografica, nelle note biografiche allegate a “Exhale”, dipinge lo stile dei Nostri come modern melodic death metal. Tuttavia, al contrario, non pare essere molto lontana Goteborg, intendendola come culla del death metal melodico e, quindi, del gothenburg metal cui, a onor del vero, pare essere più corretto accumunare il quintetto di Steinach.
Tutto questo per porre l’accento sul fatto che, invece, il death dei Lost Dreams è melodico, sì, ma piuttosto classico. Anzi, parecchio classico, tale da escludere a priori qualsiasi forma di evoluzione e/o tentativo progressista. Quindi, niente di nuovo sotto il sole, perlomeno per ciò che concerne la foggia musicale. Simile a tante altre, insomma, quindi difficile da isolare da un contesto di per sé ricchissimo di proposte similari proprio perché sono ormai più di vent’anni che si bazzica la stessa tipologia artistica.
Con che, si è individuata la croce e delizia di “Exhale”. Da un lato c’è la sicurezza di un sound collaudato e ricollaudato, dall’altra la penuria di originalità. In mezzo, l’innegabile professionalità di una formazione che non ha nulla da imparare da nessuno, in quanto a pulizia esecutiva e bontà della produzione.
Purtroppo per loro, i Lost Dreams non sono dei campioni, in materia di songwriting, ragione per cui non riescono a sopperire la ridetta conformità stilistica con la bellezza delle canzoni. Peraltro, il disco dura oltre un’ora e quindi occorre un del tempo per entrarvi dentro. Una volta operato questo… ingresso, rimane un po’ di amaro in bocca, giacché la sensazione predominante è quella di un lungo déjà vu, come se non ci fosse speranza per una sorpresa che, difatti, non arriva. Le song sono costruite in maniera impeccabile ma mancano di anima, di profondità emotiva, di pathos. È qui che spunta prepotente lo spettro del melodic death metal di stampo svedese. Spettrale, appunto, poiché fonda la sua vita indietro nel tempo, quasi dimenticandosi dei lustri in cui, bene o male, qualche passo in avanti, in direzione del futuro, si è compiuto.
Così, alla fine del tragitto compreso fra ‘Ego’ e ‘Tranquilize’, quel che resta in bocca ha il gusto dell’amaro, dato atto – anche – dell’innegabile professionalità e preparazione del combo teutonico. Qualità tecniche, queste, che non risolvono il problema di non saper disegnare delle canzoni se non memorabili, almeno fresche e accattivanti.
Inesorabile, alla fine – ma nemmeno troppo, la noia.
Daniele “dani66” D’Adamo