Recensione: Extance

Di Gianluca Fontanesi - 15 Settembre 2014 - 0:05
Extance
Band: Aenaon
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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80

 

La nostrana Code666 Records è sempre stata un’etichetta piuttosto attenta alle variazioni del black metal e all’avanguardismo assortito, vantando un roster di tutto rispetto con gente del calibro di Fen, Hail Spirit Noir, Negura Bunget, Ne Obliviscaris, i greci Aenaon e via dicendo. Parliamo di questi ultimi, oggi, e della loro seconda prova “Extance”, che segue il discreto “Cedres Et Sang” del 2011. Tagliando subito la testa al toro, si può dire che quest’opera esuli molto dai gusti orientati verso il black più ortodosso e ‘marcio’. Troverà pane per i suoi denti, invece, l’ascoltatore più propenso a sfaccettature e contaminazioni di vario genere. “Extance” è un disco piuttosto complesso, che richiede svariati ascolti per essere compreso appieno. È certamente un’opera che ripaga largamente il tempo che le si dedica e di certo non mancherà a fine anno di trovarsi negli highlights dell’intero 2014. Vediamo il perché.

“The First Art” è una sorta d’introduzione strumentale al disco iniziata da un pianoforte e proseguita col supporto del sassofono volto a rafforzare la band che presto subentra; le cose iniziano però presto a farsi serie con la successiva “Deathtrip Chronicle”, in cui gli Aenaon offrono un gran pezzo in grado di catturare immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore. Il brano è incentrato su un mid-tempo abbastanza classico infarcito di qualche blast-beats e un riffing che varia dal ritmico su corda bassa agli arpeggi su tonalità più alte, arcigne e dissonanti. La forma-canzone è qui mantenuta in maniera piuttosto classica e il ritornello con le voci improntate su una tonalità gotica entra subito in testa risultando vincente. Da applausi il ponte in cui il mood del pezzo cambia totalmente faccia, andando a esplorare lidi prettamente prog e d’atmosfera, con un sax che risulta ovviamente valore aggiunto anche se ormai inflazionato. “Grau Diva” sembra salti fuori dai migliori Dimmu Borgir, ha un fare minaccioso e malvagio, si attesta su mid-tempo di matrice più ‘soft’ rispetto alla traccia precedente. Ottimi gli inserti horrorifici di tastiera che, col senno di poi, andavano sfruttati un po’ di più. Semplice ma incisivo il solo di chitarra di Anax, buonissima la prova vocale che usa lo scream come base per poi infarcirla con svariate sovraincisioni che donano una buona varietà a tutto il minutaggio del disco. “A Treatise On The Madness Of God” offre sei minuti di pregevolissima fattura, in cui si susseguono svariati ossimori stilistici che inevitabilmente confondono per poi schiudersi in tutta la loro bontà. Il brano è un po’ un sunto di ciò che abbiamo ascoltato finora e una sorta di calma prima della tempesta che arriverà con “Der Mude Tod”, in cui gli Aenaon pestano come degli ossessi e creano atmosfere in netto contrasto con la loro caldissima Grecia. Splendido il lavoro vocale sul ritornello che risulta puro avantgarde. Il mix funziona ed è difficile resistere alla tentazione di riascoltare immediatamente il brano più e più volte, complice anche un finale da urlo che porta ad atmosfere inizialmente quasi piratesche per poi esplodere in un caleidoscopio di sax e doppia cassa risolto in maniera geniale.

“Pornocrates” cambia ancora le carte in tavola essendo strutturata su un riff claudicante di chitarra acustica e una voce che inizialmente parla in sottofondo per poi lasciare spazio al solo; parliamo quindi di due minuti scarsi strumentali che hanno però moltissimi perché. Di certo la varietà non è un problema in casa Aenaon, e per fortuna, oseremmo dire! Si prosegue quindi con “Closer To Scaffold”, che sancisce un ritorno al metal in pompa non magna ma decisamente melodica. Siamo assestati su un black metal classico e senza fronzoli, che presto viene sostituito da una sezione con un buon groove e una linea vocale sicuramente centrata. Il ritornello rallenta verso lidi marziali che provocheranno sfracelli e mal di collo assortiti in sede live. Tempo pochi secondi e si rimane totalmente spiazzati da un’apertura prog in grado di fare ben più di una bella figura; un difetto? Dura poco, e il ritornello sancisce la sua fine davvero troppo presto! Gli ultimi due minuti del brano sono dispersivi e quasi incollati; non giovano la fruizione nonostante la discreta potenza sprigionata, complice soprattutto quella specie di spoken word che accompagna quasi tutto il finale. “Land Of No Water” nulla aggiunge e nulla toglie all’album, la sua posizione nella track-list potrebbe far storcere il naso per un unico motivo: si tratta dell’ennesimo mid-tempo! Il ‘potrebbe’ è giusto messo lì per i più scettici: le soluzioni offerte dagli Aenaon non sono mai pacchiane e riescono sempre a risultare imprevedibili e in un certo senso affascinanti. “Extance” è suonato benissimo pur non inventando niente, la produzione offre il giusto mix di pulizia/pacca senza però essere plasticosa o finta come va ultimamente tanto di moda in sede di musica estrema. Niente quindi in questo disco dovrebbe apparire scontato: è un po’ una presa in giro per chi non approfondisce gli ascolti, e neanche troppo velata. Il finale della traccia si dissocia da tutto e sfoggia un simil-Hammond (sic!) che sembra uscire direttamente da “The Final Experiment” di Ayreon, non ci si fa mancare neanche un solo di armonica e, giustamente, gli applausi scattano. “Algernon’s Decadence” è il terzo e ultimo break pubblicitario che assolutamente male non fa: lo spazio è lasciato totalmente al pianoforte che è rilassante e allo stesso tempo interlocutorio. Ciò che viene dopo è un piccolo capolavoro che porta il nome di “Funeral Blues”. Iniziamo subito col dire che è cantata da Tanya, l’ugola incredibile degli Universe217 (doom, sempre greci, procuratevi assolutamente l’ultimo “Never”), per poi proseguire dicendo che il brano porta a quelle atmosfere che si vedono in molti film americani: quelle scene ambientate in bar fumosi e zeppi di personaggi poco raccomandabili, in cui la cantante di turno gira fra i tavoli come un’arma di seduzione impazzita. Avete capito, no? Provare per credere! Largo spazio ovviamente al sax, chitarre acustiche e tutto un impianto che rende prescindibili i pochi inserti estremi che sì, ci stanno ma non fino in fondo. La lunghissima (quasi tredici minuti) “Palindrome” è posta in chiusura dell’album e sancisce una vera e propria dichiarazione d’intenti. Riassume tutte le sfaccettature e tutte le influenze della band riuscendo nell’intento di essere avvincente senza stufare l’ascoltatore arrivato a questo punto. Da segnalare il grandioso inserto prog che occupa tutta la parte centrale del brano, degno suggello a una grande esperienza uditiva!

La scelta quindi di inserire questo pezzo in conclusione della track-list alla lunga paga: difficilmente si è propensi a premere il tasto skip durante l’intero ascolto di “Extance”. È un album che offre stratificazioni diverse e nuovi particolari a ogni passaggio, con pochissimi difetti e parecchi pregi. La scena greca ci dona un gran disco, che non inventa niente ma suona come Dio, anzi il Demonio comanda! Se siete amanti dell’avantgarde e del black metal più contaminato fatelo vostro, non rimarrete affatto delusi! Per il capolavoro vero e proprio ci sarà da aspettare la fatidica prova del terzo disco ma nel frattempo saziamoci di questo “Extance” che è davvero tanta roba!

Gianluca Fontanesi
 

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